In tema di “Sessantotto e fantascienza” penso si debba parlare, più che di un rapporto diretto dell’uno sull’altra, di rapporto riflesso. Il Sessantotto non nasce dal nulla, all’improvviso. Da anni ne stavano maturando i presupposti, già reperibili – per l’occhio attento – nella letteratura, nell’arte, nel pensiero di filosofi, storici, sociologi.
Per esempio, in Europa almeno dagli anni ’50 la cosiddetta Scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Marcuse, Fromm e altri) aveva condotto una rigorosa critica della società borghese, su basi hegeliane più che marxiste, tenendo d’occhio anche Freud; negli Usa (anni ’60) erano nati la “nuova sinistra” del sociologo Charles Wright Mills, il movimento americano per i diritti civili, il Free Speech Movement studentesco di Berkeley (1963), che aveva contagiato tutto il Paese. Kurt Vonnegut scrive romanzi come Ghiaccio nove (Cat’s Cradle, 1963) e Mattatoio n. 5 (Slaughterhouse Five, 1969). Potremmo anche risalire al movimento nero per l’eguaglianza (anni ’50). Sta di fatto che la science fiction a cavallo tra i Sessanta e i Settanta registra l’irruzione improvvisa d’una nuova leva di autori che rivoluzionano il genere nei temi e nella scrittura, e fanno maggiormente risaltare l’opera di autori preesistenti. Ma soprattutto, il nuovo decennio vede l’esplosione creativa d’un folto stuolo di scrittrici di alto livello (fino a quel momento la fantascienza “femminile” era sempre stata una percentuale modesta), a loro volta portatrici di innovazioni fondamentali legate anche al movimento femminista. Fu così, credo, che la fantascienza – una buona parte d’essa, la più consapevole e agguerrita – mutò in modo radicale (mentre continuavano ovviamente a editarsi opere di successo “vecchia maniera”). La fantascienza dunque si trasformò, perché i semi del Sessantotto avevano trasformato la società e quindi il modo di narrare, ergo anche la fantascienza. D’altronde non è una novità: i periodi di maggiore sperimentazione spesso si manifestano congiuntamente a sommovimenti sociali e politici (si pensi alle avanguardie storiche rispetto alla Prima guerra mondiale). Eppure ancora oggi (2008) qualche voce, peraltro isolata, continua a gettare fango sul quegli anni. Per esempio Marcello Veneziani, che nel suo recentissimo libello Rovesciare il ’68 ci propina una summa dei più logori e disinformati luoghi comuni, descrivendo quel periodo come la sentina più puzzolente della storia giovanile del '900, la svolta che da allora in poi ha destabilizzato patria-famiglia-religione-cultura, nonché ottenebrato e omologato le nostre menti. Veneziani ha evidentemente rimosso il potenziale di creatività e di liberazione, mai più eguagliato, che quei momenti seppero esprimere: se il movimento (com’è stato per tutti i movimenti d’avanguardia) ebbe anche aspetti controversi o non raggiunse le sue mete provocatoriamente utopistiche, operò tuttavia un rinnovamento dell’intera società civile, dalla musica alla letteratura, alla politica, all’idea di famiglia, quella del sesso, fino al modo di vestire e soprattutto al modo di concepire i rapporti gerarchici nelle “istituzioni totali”.
Dicevo: presupposti già in maturazione. Sia pure molto sporadici, se guardiamo al settore specifico della fantascienza. Per esempio, nei ’60 c’era stata l’irruzione d’un filone “eretico” nato in Inghilterra e definito New Wave, “nuova ondata”. Un giovane autore inglese, Michael Moorcock, agli inizi del decennio aveva fondato la rivista New Worlds imponendole una spiccata tendenza allo sperimentalismo, e scriveva opere (si pensi alle storie di Jerry Cornelius) decisamente fuori dai canoni. New Worlds e la New Wave si sarebbero in seguito ritrovate al centro di accese polemiche, ma intanto il drappello di autori della nuova science fiction varcava l’oceano sbarcando negli Usa e gettando i suoi semi.
Al 1962 risale il celebre “manifesto” di James G. Ballard pubblicato appunto su New Worlds, intitolato Come si arriva allo spazio interiore? (Which Way to Inner Space). Ballard, autore di derivazione surrealista, nel suo scritto sosteneva che la fantascienza dovesse occuparsi soprattutto dello “spazio interno” (le realtà psichiche dell’uomo) piuttosto che continuare a rimestare nello “spazio esterno” (avventure galattiche, etc); presa di posizione, questa, che creò notevole scalpore nell’ambiente fantascientifico internazionale e venne dai più ritenuta riduttiva della fantascienza. Nel 1969 Ballard avrebbe pubblicato The Atrocity Exhibition, romanzo – si fa per dire – sperimentale, innovativo come pochi.
Nel 1967 Harlan Ellison, scrittore estroso e “arrabbiato”, curò negli Usa un’antologia rimasta un punto fermo: Dangerous Visions (“Visioni pericolose”), in cui 32 autori americani notissimi e meno noti affrontavano di petto, in 33 racconti, tematiche fino a quel momento tenute ai margini se non evitate: sesso, incesto, ateismo, antimperialismo, antimilitarismo, pacifismo e altri (Dangerous Visions giunse in Italia solo nel 1991, edita da Mondadori, conservando il titolo originale. Fra i partecipanti erano Lester Del Rey, Robert Silverberg, Frederik Pohl, Robert Bloch, Harlan Ellison, Brian W. Aldiss, Philip K. Dick, Larry Niven, Fritz Leiber, Poul Anderson, Damon Knight, John T. Sladek, Kris Neville, Raphael A. Lafferty, James G. Ballard, Theodore Sturgeon, John Brunner, Norman Spinrad, Keith Laumer, Roger Zelazny, Samuel R. Delany). Va notato che in realtà il progetto Dangerous Visions era nato fin dai primi anni Sessanta per iniziativa dell’americana Judith Merril, una firma delle più importanti in campo fantascientifico, curatrice di numerose antologie di successo nonché una iniziatrice del movimento New Wave.
È interessante, a questo punto, riflettere su quale fosse la situazione della fantascienza negli Usa a fine anni ’60 e per buona parte dei ’70. Ne scrivevano Vittorio Curtoni e Giuseppe Lippi nel loro volume Guida alla fantascienza (Gammalibri, 1978). Dopo aver passato in breve rassegna alcuni “nomi nuovi”, ovvero un ristretto numero di autori emergenti i quali mostravano particolari abilità innovative sia tematiche sia formali (Delany, Zelazny, Ellison, Moorcock, Malzberg, Disch, Lafferty, Brunner, Martin, Wolfe, Bryant, Bishop, Tiptree jr. e qualcun altro), i due commentavano:
Il dato indiscutibile è che dalla fine degli anni Sessanta non si è più in grado di tracciare un sentiero omogeneo per gli sviluppi della fantascienza americana. Se prima, di decade in decade, erano esistite direttive generali cui la maggioranza degli scrittori si atteneva, […] gli anni Settanta hanno portato alle estreme conseguenze germi di disfacimento che erano da sempre impliciti […] E’ difficilissimo stabilire paralleli, appunto per l’eccentricità e l’esasperato soggettivismo di molti fra gli ultimi nuovi autori.
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