In tema di “Sessantotto e fantascienza” penso si debba parlare, più che di un rapporto diretto dell’uno sull’altra, di rapporto riflesso. Il Sessantotto non nasce dal nulla, all’improvviso. Da anni ne stavano maturando i presupposti, già reperibili – per l’occhio attento – nella letteratura, nell’arte, nel pensiero di filosofi, storici, sociologi.
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Al 1962 risale il celebre “manifesto” di James G. Ballard pubblicato appunto su New Worlds, intitolato Come si arriva allo spazio interiore? (Which Way to Inner Space). Ballard, autore di derivazione surrealista, nel suo scritto sosteneva che la fantascienza dovesse occuparsi soprattutto dello “spazio interno” (le realtà psichiche dell’uomo) piuttosto che continuare a rimestare nello “spazio esterno” (avventure galattiche, etc); presa di posizione, questa, che creò notevole scalpore nell’ambiente fantascientifico internazionale e venne dai più ritenuta riduttiva della fantascienza. Nel 1969 Ballard avrebbe pubblicato The Atrocity Exhibition, romanzo – si fa per dire – sperimentale, innovativo come pochi.
Nel 1967 Harlan Ellison, scrittore estroso e “arrabbiato”, curò negli Usa un’antologia rimasta un punto fermo: Dangerous Visions (“Visioni pericolose”), in cui 32 autori americani notissimi e meno noti affrontavano di petto, in 33 racconti, tematiche fino a quel momento tenute ai margini se non evitate: sesso, incesto, ateismo, antimperialismo, antimilitarismo, pacifismo e altri (Dangerous Visions giunse in Italia solo nel 1991, edita da Mondadori, conservando il titolo originale. Fra i partecipanti erano Lester Del Rey, Robert Silverberg, Frederik Pohl, Robert Bloch, Harlan Ellison, Brian W. Aldiss, Philip K. Dick, Larry Niven, Fritz Leiber, Poul Anderson, Damon Knight, John T. Sladek, Kris Neville, Raphael A. Lafferty, James G. Ballard, Theodore Sturgeon, John Brunner, Norman Spinrad, Keith Laumer, Roger Zelazny, Samuel R. Delany). Va notato che in realtà il progetto Dangerous Visions era nato fin dai primi anni Sessanta per iniziativa dell’americana Judith Merril, una firma delle più importanti in campo fantascientifico, curatrice di numerose antologie di successo nonché una iniziatrice del movimento New Wave.
È interessante, a questo punto, riflettere su quale fosse la situazione della fantascienza negli Usa a fine anni ’60 e per buona parte dei ’70. Ne scrivevano Vittorio Curtoni e Giuseppe Lippi nel loro volume Guida alla fantascienza (Gammalibri, 1978). Dopo aver passato in breve rassegna alcuni “nomi nuovi”, ovvero un ristretto numero di autori emergenti i quali mostravano particolari abilità innovative sia tematiche sia formali (Delany, Zelazny, Ellison, Moorcock, Malzberg, Disch, Lafferty, Brunner, Martin, Wolfe, Bryant, Bishop, Tiptree jr. e qualcun altro), i due commentavano:
Il dato indiscutibile è che dalla fine degli anni Sessanta non si è più in grado di tracciare un sentiero omogeneo per gli sviluppi della fantascienza americana. Se prima, di decade in decade, erano esistite direttive generali cui la maggioranza degli scrittori si atteneva, […] gli anni Settanta hanno portato alle estreme conseguenze germi di disfacimento che erano da sempre impliciti […] E’ difficilissimo stabilire paralleli, appunto per l’eccentricità e l’esasperato soggettivismo di molti fra gli ultimi nuovi autori.
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