Il 27 maggio scorso William Gibson, celebrato autore di fantascienza, acclamato padre del cyberpunk, è stato ospite del Festival delle Letterature di Roma. Con lui anche Joe R. Lansdale, altro autore di punta del fantastico contemporaneo. L'attore Claudio Santamaria ha recitato estratti dagli ultimi romanzi degli autori, rispettivamente Guerreros (titolo originale: Spook Country, ed. Mondadori) e La morte ci sfida (Dead in the West, ed. Fanucci). Davanti a una platea affollata, Gibson ha poi proposto ai suoi lettori italiani un intervento dal titolo "Il flusso del silenzio, l'insistenza dell'oblio", che riprende e rielabora altre sue riflessioni sul ruolo dell'informazione e della tecnologia nella nostra società di massa:

Il tempo si muove in una direzione, la memoria in un’altra, e noi siamo impegnati a costruire artefatti per contrapporci all’inarrestabile flusso dell’oblio. In realtà, ci contrapponiamo al flusso del silenzio. Erigiamo pietre: le pietre parlano, anche dopo tutti questi secoli. Contro la pressione del silenzio, dell’oblio, contro l’assenza di memoria, schieriamo vari tipi di principi di informazione.

I primi elementi di informazione, forse, erano pezzetti di argilla color ocra, il bisonte riprodotto nella risoluzione minima necessaria. La stilizzazione dei graffiti delle caverne non ha perso minimamente la sua efficacia, neanche dopo tutti questi millenni, di quale schermo del mondo odierno potremo dire la stessa cosa nel giro di un decennio?

La trascrizione completa della relazione è disponibile sul sito della manifestazione, all'indirizzo web: http://www.festivaldelleletterature.it/2008/inedito.asp?lang=it&testo=129.

Quanto alla sua ultima fatica, in una intervista rilasciata al Manifesto, Gibson ha tradito la sua ormai proverbiale insofferenza di fronte alle domande sul cyberpunk. "Sono passati venticinque anni e il mondo è nuovamente cambiato. Quelle storie appartengono al passato e non al presente". Entrando nello specifico di Guerreros, Gibson ha illustrato la

sua posizione riguardo a quello che, a distanza di oltre trent'anni dal suo esordio, continua a fare ancora oggi come autore: "La fiction è per me un'esplorazione del mondo e la scrittura serve a definire la sua mappa. Mi piace scrivere pagina per pagina e far emergere, dalle parole che scelgo, ciò che ho scoperto. È un modus explorandi al termine del quale scopro con meraviglia che ho maturato una convinzione attorno alla realtà che voglio raccontare. Non ho nessuna attitudine didattica. Né credo di avere nessuna vocazione profetica. Semmai sono interessato a intessere una rete di prospettive diverse da cui guardare al mondo contemporaneo".

Al suo lavoro non è estranea una forte componente di critica sociale. "Spesso amo considerare il mio lavoro come una delle possibili traduzioni letterarie di quel sublime che il filosofo Frederic Jameson ha considerato, in uno dei suoi ultimi scritti, uno dei tratti distintivi della postmodernità. È noto che Jameson consideri il sublime come manifestazione di sentimenti tra loro eterogenei. Senso di angoscia, meraviglia, paura, piacere rispetto a un «evento terrificante». Insomma, un misto di orrore e estasi rispetto a quel terrore. Nei miei romanzi provo a catturare lo zeitgeist, cioè quel sublime così descritto da Jameson come spirito del tempo dominante nelle società postmoderne. Le tecnologie del controllo e il controllo sociale alimentano questo sentimento ambivalente di terrore e estasi. Tutti i miei personaggi possono essere raffigurati come i personaggi di film horror: sanno che ci sono dei mostri in giro, ma continuano la loro vita come se niente fosse, fino a quando girano la testa e si trovano vis-à-vis con essi. A quel punto, il loro volto è deformato dall'orrore."

E in merito all'America di oggi? "Nel romanzo parlo degli Stati Uniti dopo l'11 settembre e di come la «guerra al terrore» sia diventata effettivamente infinita. I personaggi del romanzo sono cresciuti a cavallo di due millenni. Erano giovani durante gli anni «verdi» della prima amministrazione Clinton, ma sono entrati nella maturità dopo l'11 settembre. È questo il loro mondo. Io guardo al mio paese da una prospettiva privilegiata. Vivo da molti anni in Canada e quando torno negli Stati Uniti rimango sempre sorpreso dai cambiamenti che ci sono stati tra una visita e l'altra [...]. Il regista canadese David Cronenberg dice sempre che guardare gli Stati Uniti dal Canada è guardare un paese dalla sua frontiera. E che quella posizione consente uno sguardo distaccato, ma al tempo stesso molto partecipe." E Gibson dimostra di avere le idee chiare anche sull'esito più plausibile a cui ci condurrà la dinamica della globalizzazione oggi in atto. "Quando scrivo che la Cina è più vicina mi riferisco al fatto che il Canada non ha, per il momento, nulla da temere da Pechino. Non sono interessato a fare profezie sugli Stati Uniti [...]. Piuttosto credo che [...] il Canada percorrerà lo stesso sentiero intrapreso dagli Stati Uniti."

Tempi bui, quelli che ci aspettano. E se a pronosticarlo è l'uomo che nel 1984 ha previsto il nostro mondo del 2008, c'è da prestargli un minimo di attenzione. Non crediamo quindi che sia poi così strano l'interesse che la stampa e i media italiani hanno dedicato a William Gibson nel corso del suo breve soggiorno italiano. Semmai, ci auguriamo di non dover aspettare altri 35 anni per rivederlo da queste parti.