La critica contro la società assume spesso, alla fine dell’Ottocento francese, forma di fantascienza, o “racconto straordinario”, come veniva chiamata allora. Come nel Settecento, quando gli scrittori politici ricorsero al genere utopico per illustrare le loro idee sulla società, anche ora si approfitta della diffusione dei romanzi tra il più vasto pubblico raggiungibile per esporre le proprie idee.
Non solo in Francia incontriamo questo tipo di ironia sulla società. Anche in America se ne hanno esempi, soprattutto in L’ultimo americano di Mitchell, in cui dalla Persia, tra un migliaio di anni, parte una ricerca sulle tribù scomparse del continente americano. La vita della New York negli anni 1990 viene ricostruita dagli studiosi come nella figura.
Ma nel genere satirico spicca soprattutto la Francia, dove il ricordo del 1848 e dei suoi moti era ancora vivo in molti scrittori, compreso lo stesso Jules Verne (che all’epoca della seconda repubblica era ancora studente, ma assiduo frequentatore dell’ambiente artistico parigino). Il suo interesse per i luoghi più lontani è l’altra faccia della sua avversione per la Francia del secondo impero – i viaggi alla luna e sotto il mare uscirono durante il regno di Napoleone III - e trapela spesso nelle parole del capitano Nemo, rifugiatosi sotto il mare per stare lontano dalla società da lui odiata.
Verne (n. 1828) collaborò inoltre con un vero ex rivoluzionario, condannato dopo la caduta della Comune del 1871 e rientrato dopo il 1880, che fu anche deputato socialista, Paschal Grousset (n. 1844), che scriveva sotto lo pseudonimo di André Laurie: Verne acquistò da lui il soggetto dei 500 milioni della Begum, uscito nel 1879).
Un altro esponente di questa vena critica è Jean-Baptiste-Alfred Assollant, nato un anno prima di Verne e autore anch’egli di romanzi fantastici negli anni del secondo impero. il successo di Verne iniziò nel 1863 con Cinque settimane in pallone; Assollant cita Verne nel suo romanzo del 1867, Avventure del capitano Corcoran. Il romanzo è pesantemente ironico contro gli inglesi, ma vi compaiono molte pagine di denuncia contro nobili e principi. Come esempio si può citare il discorso tra il primo ministro Sugriva e il protagonista, divenuto rajah dopo avere sposato la figlia del sovano Holkar e avere sconfitto gli inglesi:
— Principe — rispose Sugriva — tale non era, all’origine, il disegno di Brama e Visnù, quando crearono i re.— Ma credi tu che i re discendano proprio in linea retta da quelle due potenti divinità?— Principe — replicò il bramino — nulla di più probabile. Brama, che ha creato tutti gli esseri, i leoni, gli sciacalli, i rospi, le scimmie, i coccodrilli, le zanzare, le vipere, i boa constrictor, i camelli a due gobbe, la peste nera e il cholera morbus, non ha potuto dimenticare i re nella lista.E quando rajah e ministro si trovano a discorrere del tesoro lasciato dal defunto Holkar:
— Or via, in buona fede, credete voi che un re amante del giusto possa essere così ricco?— Ma forse faceva dei risparmi — disse Corcoran.
— Dei risparmi! si vede che lo conoscevate bene! — rispose amaramente Sugriva. — Per quarant’anni ha sciupato dei miliardi di rupie per soddisfare le più sciocche fantasie che possano venir in mente d’un settario di Brama; fabbricava palazzi a dozzine – palazzo d’estate, palazzo d’inverno, palazzo per ogni stagione; deviava dei fiumi per aver dei getti d’acqua nel parco; comperava i più bei diamanti dell’India per ornarne l’impugnatura della sua sciabola, e di sciabole ne avea a centinaia; faceva venire degli schiavi dalle cinque parti del mondo; manteneva migliaia di buffoni e di parassiti, e faceva impalare chiunque tentasse di dirgli la verità.
— Ma, in conclusione, dove prendeva il danaro?
— Dove è, vale a dire, nelle tasche dei poveri sudditi, e di tanto in tanto faceva tagliar la testa a uno zemindar per impadronirsi della successione. Questa è anzi la sola cosa popolare che abbia mai fatto, giacché il popolo, che odia gli zemindar più della morte, si sentiva vendicato della propria servitù, assistendo al loro supplizio.
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