– Niente. Come lì.
Lei ha scosso la testa e mi ha osservata confusa, continuando a non capire.
– Ma come mai non sei laggiù con loro?
– Perché non voglio stare laggiù con loro.
È rimasta a bocca aperta per qualche istante, poi mi si è avvicinata con aria sempre più turbata: – Vuoi dire che te ne sei venuta via di tua spontanea volontà?
– Voglio dire proprio questo, madre.
Già. Proprio senza dire una parola, me ne sono andata.
Ma come avrei potuto guardare mia madre in faccia e confessarle che sono corsa via proprio quando il Grande Tinia mi ha offerto l’onore di sollevarmi fra le sue braccia forti e divine per distendermi sull’altare delle nozze sacre? Ho sentito fremere le mie membra sotto il tocco sicuro del dio, quasi come corde di cetra pizzicate da lingue di fuoco, ma è stata proprio la sua spavalderia celeste a disturbarmi. I suoi occhi di folgore non mi hanno bruciata e non ho lasciato le mie ceneri sull’altare sacro. Nemmeno la mia carne viva.
E come avrei potuto descrivere alla donna che mi ha cresciuta in vista di quel momento, la risata che mi è scoppiata dentro di fronte all’espressione che si è affacciata dal volto del dio al mio rifiuto; come avrei potuto descriverle quella che mi è straripata dal cuore quando l’Altra, Madre, mi ha lanciato a sua volta il sorriso più vecchio dell’universo?
Mi scappa ancora da ridere. Come faccio?
Avrei forse dovuto gettarmi tra le braccia di Fuflus, ebbra di follia, ubriaca di segreti, e gridare alle stelle che, nel caso in cui mi fossi decisa sul serio a donar loro me stessa, mi sarei divertita di più con lui? Le sue risa triviali e il suo sguardo febbrile mi hanno fatta sentire sorella e sposa più del vino che del tuono. Mentre le cetre continuavano a suonare sullo sfondo dei miei pensieri sinistre armonie, per un qualcosa che in me già non c’era più, e il flauto di Aplu s’insinuava tra le corde dell’etere minaccioso come il destino, mi sono sentita dea della follia. Ho sentito il bisogno di bere vino e di darmi a Fuflus. Avrei forse dovuto dirle persino questo?
Povera, misera madre... secondo lei già dovrei ritenermi fortunata di poter vivere senza sentirmi inferiore ai maschi, come succede alle donne dei latini; ma io mi sento mangiare le interiora dalla rabbia perché non posso scegliere il dio che più mi piace.
Gloria alle genti che concedono anche questo!
Ci sarà un posto così da qualche parte? In qualche tempo? Per Uni! Sulle stelle?
Povera, misera madre...
– Ma che significa? – è riuscita a dire. – Non si può!
– Evidentemente sì.
Ha scosso la testa incredula. – E ora? – ha farfugliato con gli occhi gonfi del pianto che non voleva uscire. – E ora, cosa succederà?
Non lo sapevo ieri e non lo so adesso, anche perché in quel preciso istante ho capito che non me la sarei sentita di rimettere piede in casa mia.
– Sono una donna e comando il mio destino.
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