Non è tutto ciò che vediamoo ciò che ci sembra di vederesoltanto un sogno dentro il sogno?Edgar Allan PoeUscii dalla vasca ibernante.
Mi sentivo… beh, in una parola: rinato. Sapete, bisogna provarlo ed essere capaci di descriverlo. Io non penso di esserne capace, però dovete credermi. Morire e poi svegliarsi, come una stella nella notte, e poi viene il giorno e si muore, e poi torna la notte e si rinasce. Proprio così, spero sia chiaro.
Uscii dalla vasca ibernante e dissi: — Eccomi qua —. Può darsi che all’astronave non importasse e nemmeno agli altri che erano ancora morti, ma a me sì. Suppongo valesse più di un sogno o di una vincita al poker con gli amici, quel mio eccomi qua. Se sapeste quanto ci tengo ai miei sogni e al poker con gli amici, comprendereste meglio la profondità della mia affermazione.
— Eccomi qua. — Nel vuoto. Nel nulla. Succede a volte, soprattutto a chi come me vive nello spazio. Accidenti a lui, se fosse diverso da quello che è non sarebbe più la stessa cosa, vi pare? — Eccomi qua.
Mi tirai su e sbadigliai. Diedi un’occhiata al temporizzatore della vasca e il secondo sbadiglio mi morì in bocca. Secondo l’orologio spaziotempo ero morto per qualcosa come… diavolo, voi sulla Terra direste trentasette anni e nove mesi, una bella dormita davvero. Se mettessi in fila tutti gli anni che ho trascorso ibernato forse Matusalemme arrossirebbe davanti a me. Ma non è il caso, davvero. Matusalemme è morto e io vivo, non vi sembra?
Feci due passi e un po’ di ginnastica per sgranchirmi le gambe. Mi guardai attorno. Fa sempre uno strano effetto risvegliarsi dopo un sonno così lungo. Mi pare di capire che la vita sia una cosa seria, dannatamente seria, ma allo stesso tempo una parte di me non riesce ad accettare questa realtà. Continuo a giocare come un bambino. Per un po’ vivo, poi muoio, e poi vivo ancora, e poi torno a morire. Una vera lagna.
Mi avviai alla cabina delle docce e sentii il soffio d’aria di una delle altre vasche che si apriva.
— Taylor — scommisi mentalmente.
Mi voltai a guardare. Non era Taylor bensì Jones-la-tettona. Non so voi, ma a me le donne con le tette grosse non sono mai piaciute granché, questione di gusti, però c’è più finezza e fascino in un seno piccolo, che si può stringere in una mano e… fiuu! Comunque Jones non era niente male, bisogna proprio che lo dica, e Taylor si svegliò solo per terzo, e per ultimo Braddy.
Facemmo la doccia e fu come nascere una seconda volta in pochi minuti. La prima era stata quando le palpebre avevano sbattuto una, due volte, poi tre e noi ci eravamo detti: — Anche questa volta ci siamo svegliati. Esistiamo: che bello! — E la seconda sotto la pioggia di caldi aghi d’acqua… che meraviglia, come una vibrazione dell’universo.
Dopo la doccia ci ritrovammo tutti intorno alla tavola. I macchinari ronzavano e le luci fluttuavano come ubriache, la musica sapeva di antichità e di ossa, e tra tutti e quattro non si erano dette che poche parole, ciao Taylor, ciao Jones, ciao Braddy, ciao Spike (che sarei io), nient’altro… Beh, Cristo, era sempre così all’inizio, ci mancherebbe. Le corde vocali sono corde vocali, se non le usi per tanto si arrugginiscono, esattamente come un cervello, e uno non può pretendere che riprendano subito a sputare aria. Ci vuole un po’, e poi è bello il silenzio dei gesti e degli sguardi, senza parole, è come se si parlasse e tutti capiscono e si sentono più vicini. A me piace e anche agli altri, Ve l’ho detto… bisogna provarlo per capirlo.
Mangiammo cubetti di pollo e qualcos’altro fatto con la soia. Dopo tanto tempo il cibo ha un gusto così buono che ti sembra un insulto non aver mangiato per anni, e pensi che sarebbe un’ottima cosa se inventassero una vasca ibernante dove insieme al sonno senza pensieri ci fosse anche una tavola sempre imbandita, e un angolo per la tv e i giochi di società, che so io?, magari anche un tavolo da ping-pong.
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