E’ stato sa poco pubblicato dalla Donzelli editore il saggio di Lewis Mumford Storia dell’utopia (The Story of Utopias).
Per noi lettori di fantascienza le parole “utopia” e anche “distopia” sono abbastanza comuni come è normale indicare un romanzo come “utopico” oppure indicare con “distopia” un certo genere.
Come aveva giustamente scritto J.S. Mill nel 1868 “Una comunità chiamata Utopia è qualcosa di troppo buono per essere praticabile, ma una Distopia è una comunità troppo cattiva per essere praticabile”.
E’ cosa nota che il termine è nato dal titolo del famoso libro di Tommaso Moro dove si ritraeva una società razionalmente organizzata, una repubblica dove esisteva la totale comunione dei beni.
Lewis Mumford (1895-1990) è stato un sociologo e urbanista americano, ha insegnato in varie ed importanti università, segnando un’epoca con il suo pensiero e le sue idee. Molte sue opere che trattano di urbanistica e di architettura sono state tradotte in Italia.
Dalla quarta di copertina: L‘uomo cammina con i piedi in terra e la testa per aria; e la «storia di ciò che è accaduto sulla terra — la storia delle città, degli eserciti e di tutte quelle cose che hanno avuto corpo e forma — è solo una metà della storia dell’uomo». L’altra metà è rappresentata proprio dall’utopia. «Utopia — dice Lewis Mumford nella prefazione del 1922 a questo libro prezioso e insuperato — può derivare dalla parola greca “eutopia”, che significa il buon posto, o dall’altra parola greca “outopia”, che significa nessun posto».
Ed è lo stesso Mumford a chiarire il contesto intellettuale da cui questo suo lavoro ha tratto origine: «Poco dopo la prima guerra mondiale, io vivevo ancora nel clima di speranza della generazione passata; ma mi rendevo conto che l’entusiasmo del grande XIX secoio era giunto alla fine. Quando ho iniziato ad esaminare storicamente le utopie, intendevo chiarire che cosa in esse fosse andato perduto e definire che cosa fosse ancora valido. Fin dal principio ero conscio di una virtù che era stata inspiegabilmente trascurata: le opere classiche degli utopisti trattavano sempre la società come un tutto unico e tenevano conto dei rapporti esistenti tra funzioni, istituzioni e fini dell’uomo. La nostra civiltà ha poi diviso la vita in compartimenti. Sono giunto dunque a considerare il pensiero utopista come l’opposto dello spirito unilaterale, partigiano, specialistico». Di questo bisogno di scenari non angusti — che si ripropone oggi come un’esigenza forse troppo trascurata — discute l’introduzione di Franco Crespi, sull’inattuale attualità dell’utopia.
Storia dell’utopia di Lewis Mumford (The story of Utopias, 1922), traduzione di Roberto D’Agostino, Donzelli Editore, collana Virgolette 33, pag. 225, euro 15,00.
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