E' un po' come se Cloverfield compisse un'operazione di svestitura dei modelli, asciugandoli da ogni sovrastruttura e ricercando nelle radici viscerali del genere una nuova declinazione del prodotto artistico. In questo, credo, Cloverfield assurge a una dimensione metalinguistica, derivando da una riflessione consapevole (anche se forse non del tutto compiuta) sulle potenzialità del genere e ponendosi come apristrada in un approccio innovativo (anche se non originale) alla produzione. Un ritorno alle origini, insomma, denunciato anche dalla scelta di affidarsi a un montaggio serrato e alla presa diretta, com'era già stato per un altro film evento come The Blair Witch Project. Ma se nel film di Myrick e Sanchez la soluzione registica era un espediente per calare l'orrore nell'intimità di una dimensione quasi minimalista, guardando Cloverfield si ha piuttosto l'impressione di essere di fronte al processo inverso: il perturbante viene fotografato dagli occhi dei personaggi (e immortalato dalla loro telecamera) mentre erompe sulla scena con tutta la forza disgregante della sua portata, un orrore su scala cosmica che all'ultimo fotogramma non risparmierà nessuno. Il paragone con Cthulhu, la mostruosa divinità concepita dal genio di H.P. Lovecraft di cui pui si era vociferato nelle indiscrezioni promozionali, non sembra inappropriato.
Intorno a questo film era montato negli ultimi mesi un hype paragonabile se non superiore a quello che all'epoca venne costruito intorno all'uscita del citato The Blair Witch Project. Una strategia di guerilla marketing e progressiva incrementazione dell'attesa che probabilmente ne decreterà il successo ai botteghini. Costato solo 25 milioni di dollari (una cifra irrisoria paragonata al cugino King Kong - quasi 10 volte tanto - o al contemporaneo Io sono Leggenda - 150 milioni), ne ha incassati 41 solo nel primo week-end di programmazione in America. Le indiscrezioni mirate e la rete di siti e blog dietro cui si muoverebbe la regia di Abrams e della Paramount (il sito ufficiale con il trailer è raggiungibile all'URL: http://www.cloverfieldmovie.com/) hanno nutrito e stimolato la proliferazione di voci e miti, contribuendo a generare un mix di leggende apocrife prima ancora che il film approdasse nel circuito della distribuzione. Un po' quello che era successo per Donnie Darko, anche se in quel caso fu una questione di necessità piuttosto che puramente accessoria. Assistere a un uso così intelligente ed efficace di internet nella promozione di un'opera, comunque, non può che risultare ammirevole, considerate anche le esperienze analoghe che stanno prendendo piede in ambito letterario (si veda la faccenda del Node Magazine fiorita intorno all'ultimo romanzo di William Gibson, Spook Country: http://www.fantascienza.com/magazine/notizie/10256/). Lascia un po' perplessi, tuttavia, la mancanza - almeno per il momento - di un intento integrativo che renda la rete complementare al film anche sul piano contenutistico. Se Cloverfield appare infatti monolitico nella sua struttura, perfino essenziale come dicevo sopra, il network promozionale messo in piedi dai creatori avrebbe potuto assolvere con efficacia analoga anche al completamento delle lacune e dei punti oscuri lasciati in sospeso dall'opera. Le origini del mostro, la sua natura mutante (nel corso del film assistiamo ad almeno 3 diverse manifestazioni della Creatura, oltre che a un'invasione collaterale dei suoi... parassiti) e le sue sorti avrebbero potuto essere rivelate al di fuori del contesto cinematografico, senza far torto agli spettatori.
Tornando al parallelo con The Blair Witch Project, la documentazione del Disastro di Cloverfield conferisce al girato una patina di vissuto - di sentito - che forse mancava al prototipo. Qui non traspare alcuna artificiosità. Anzi... Per tutta la durata del film, in corrispondenza di manovre errate o sbrigative sui tasti di record, stop e play della telecamera da parte dell'operatore, affiorano segmenti di quotidianità strappati dalla vita dei protagonisti prima dell'avvento della creatura, momenti immortalati su un nastro effimero che la documentazione dell'incubo va progressivamente cancellando. Si compie così un progressivo azzeramento della serenità che corrisponde all'irruzione del perturbante e all'olocausto della memoria che porta con sé. L'orrore di Cloverfield è annichilimento. Un orrore senza scampo che rende inutile qualsiasi grido d'aiuto. Annientamento puro, senza appello, di fronte al quale possiamo prendere solo atto dell'inevitabile. Con un sussurro.
Siamo morti.
Nessun eroe, comandante in capo o fede religiosa ci strapperanno alla cruda realtà.
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