Colori ed alieni non sono bastati a rinvigorire uno dei classici personaggi Bonelli…
Le prime pagine del fatidico numero 200 di Nathan Never ti fanno pensare di aver per caso sbagliato collana acquistando magari un Dylan Dog con la copertina un po’ strana: una vecchia fiamma del nostro investigatore, felicemente sposata e caduta nel dimenticatoio, lo contatta perché sta avendo strani incubi e subito lo coinvolge in un'indagine misteriosa che affonda le radici nei mistici Cerchi Shanachies, unico reperto lasciato sulla terra da un'antica civiltà aliena.
In seconda battuta ci si ritrova catapultati così da Dylan Dog ad un'atmosfera cara al più tipico Martin Mystère, con tanto di antica setta monastica che custodisce un segreto sepolto nella storia della Terra, ed infine, se la memoria non tradisce, vengono alla mente un vecchio Almanacco della Fantascienza e almeno un numero passato (92 per la precisione) di cui questo dovrebbe essere la continuazione ideale.
Non un buon inizio per una pietra miliare della serie se dalle prime pagine assomiglia ala seconda puntata di qualcosa che hai dimenticato da tempo, incollato inoltre sulla struttura narrativa di altre due testate della stessa casa editrice. Gli sviluppi non sono migliori: piccoli alieni dai grandi occhi, un ricco collezionista senza scrupoli che diventa il cattivo di turno e l'efferato sterminio della setta di monaci di cui sopra. Un classico fumetto Bonelli insomma: classico nelle tematiche, classico nella sceneggiatura (curata da Bepi Vigna in persona) e classico anche nei colpi di scena, così classico da scorrere via in modo indifferente senza nemmeno provare ad instillare una minima emozione nel lettore, quasi un prodotto uscito da una catena di montaggio.
In campo puramente fantascientifico calma piatta anzi un vuoto quasi imbarazzante: droni usciti pari pari da Robocop, alieni del futuro che fanno fatica ad utilizzare le nanotecnologie e gadget usciti in tono più in un film di James Bond che dal cyberpunk d'annata, importante però dal punto di vista ambientalista la testimonianza dell massiccio utilizzo dell'energia eolica.
Veniamo alla grafica: l'idea del colore non sarebbe stata nemmeno così malvagia se applicata su di uno stile fatto per il colore ma non è il caso di quello appartenente a Germano Bonazzi. Sulle sue tavole l'aggiunta stona e rende grossolano un tratto fatto per apparire simile a quello sintetico di Mignola, allontanandolo ancora di più dalle atmosfere in bianco e nero che ci ha regalato Giancarlo Olivares. Se al 199 si diceva speriamo nel 200 adesso non si può che sperare nel 201...
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