In tema di AR, "Realtà Aumentata", è d’obbligo almeno un cenno a quei particolari “occhiali” che arricchiranno la visione del nostro mondo. Inforcateli e osservate un angolo di strada: alle immagini reali si sovrappongono cartelli stradali virtuali con indicazioni toponomastiche, storiche, commerciali, di vario genere riguardanti il luogo in questione. Guardate una cattedrale, e negli occhiali sfilano anche immagini della sua struttura interna, dati e dettagli visivi dei suoi tesori architettonici e artistici, notizie sulla sua storia, le sue vicende. Scrutate il cielo in una giornata di nuvole, ma per voi c’è soltanto uno splendido l'azzurro e il sole che risplende sulla città. Simili risultati (con i precorritori memory glasses di Richard DeVaul, del MIT di Boston), e molti altri, sono già stati ottenuti ma restano pallidi esempi di ciò che presto sarà realizzato.
Naturalmente questi argomenti sono già da anni temi proposti, sfruttati ed elaborati dalla fantascienza. Abbiamo già riportato un accenno al romanzo Crash di Neal Stephenson (1992): in esso Internet è il Metaverso, al quale si può accedere per vivere una seconda vita spesso preferibile a quella vera. È il caso del protagonista Hiro, che nel mondo concreto è una nullità ma nel Metaverso è un personaggio famoso e rispettato.
Un caposaldo imperdibile è lo strepitoso Permutation City (1994) del matematico-scrittore australiano Greg Egan, che descrive la creazione di una metropoli virtuale in cui decide di trasferirsi un folto gruppo di persone che si sono a loro volta “smaterializzate”. Egan coglie inediti aspetti della “vita quotidiana” di queste “persone”, nonché gli stranissimi problemi cui esse vanno incontro. Il tema è approfondito come mai in altre opere similari: un universo descritto in modo visionario eppure credibile, che in definitiva si interroga in modo nuovo – almeno per la fantascienza – e non banale su cosa siano la “realtà” la vita, il pensiero, la materia.
Né va dimenticato un premonitore racconto pubblicato nel lontano 1964 da Lino Aldani, Buonanotte Sofia, noto anche come Onirofilm. L’autore immaginava un futuro in cui fosse realizzata una tecnologia (gli “onirofilm”) che consentiva di immergersi a volontà in mondi di sogno (all’epoca l’espressione “realtà virtuale” non era stata ancora coniata) cui ci si assuefaceva come a una droga. L’intera fascia dei “consumatori” diventava succube, con gli onirofilm, d’una felicità prefabbricata.
Una cosa è certa: se il sistema si è affermato, vuol dire che le condizioni obiettive lo hanno permesso. Io vorrei che tu ti rendessi conto d’un fatto semplicissimo: la tecnologia ha consentito [con l’onirofilm] la realizzazione di tutti i nostri desideri, anche quelli più riposti. La tecnica, il progresso, la perfezione degli strumenti e la conoscenza esatta del nostro cervello, del nostri “io”… tutto ciò è reale, concreto. Quindi, anche i nostri sogni sono realtà.
Con l’onirofilm si invertono realtà e illusione. E l’attrito fra i vari strati sociali (a quei tempi era corrente l’espressione “lotta di classe”) veniva così spento per sempre:
È vero ciò che è bello, quindi è vero l’onirofilm; è falso ciò che è brutto, quindi è falsa la realtà (…) Ricorda: nulla può superare il sogno. E solo in sogno potrai illuderti del contrario.
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