Possiamo ragionevolmente (o irragionevolmente - fate un po' voi) ipotizzare che nella Metropoli Unica del Mondo Definitivamente Globalizzato non ci sarà più posto per inestetici ghetti di povertà nei quartieri ricchi dei paesi più abbienti. Analogamente a come si è dislocata (e nascosta agli occhi dei cittadini opulenti) la schiavitù, gli esperimenti farmacologici vietati su cavie umane, il furto di organi e tanti altri mali convenienti ai paesi ricchi, spostandoli nel terzo mondo, potrà essere che in futuro non ci sia proprio fisicamente più spazio per i poveri nelle città delle poche nazioni ricche del mondo. I cittadini che non saranno più in grado di sostenere le spese di affitto, luce, gas, acqua, telefono, tassa spazzatura e canone RAI saranno come oggi costretti a spostarsi in una zona meno agiata della città, ovvero in un ghetto. Solo che allora la città sarà il mondo, ed il ghetto di Roma non sarà più la periferia di Roma, ma - per esempio - Tulcea (una piccola città ai confini della Romania). O semplicemente l'Albania. Può sembrare un'ipotesi irrealistica oggi, ma è del tutto coerente con la logica e le dinamiche della globalizzazione. Semplicemente, chi non potrà permettersi gli elevati costi che comporta risiedere nei quartieri eleganti del mondo, per non dormire sotto i ponti dovrà migrare altrove. Naturalmente, ci sarà sempre un flusso in senso contrario, che dai paesi poveri porterà fiumi di speranzosi che ambiscono ad una vita migliore nei paesi ricchi. Questo è eventualmente il punto debole di questa speculazione: dove si accamperà questa gente, se nei paesi ricchi non ci saranno più ghetti? Forse nei cunicoli del sistema fognario? A meno che da un certo momento in poi i paesi ricchi semplicemente riescano a non fare più entrare entro i loro confini immigranti privi di contratto di lavoro. D'altra parte, trovare un lavoro nelle nazioni ricche non sarà impossibile neanche per chi vive in un paese povero. La ricerca del posto di lavoro avverrà via Internet, ed i colloqui di assunzione in videoconferenza avranno poco da invidiare ai colloqui di persona. Questa opportunità renderà agli occhi dell'opinione pubblica dei paesi ricchi perfettamente politically correct il severissimo divieto di ingresso in paese a chi non abbia saputo preventivamente procurarsi un lavoro sicuro.
Ritorniamo ai poveri dei paesi ricchi, costretti a trasferirsi nei ghetti dei paesi poveri per trovarsi un alloggio che essi siano in grado di permettersi. Cosa faranno laggiù? Come si manterranno? Alcuni di essi ce l'avranno in quel posto, se mi permettete il concetto, altri invece continueranno a fare esattamente ciò che facevano prima: lavorare al computer. Dall'avvento di Internet, chiunque lavori al computer può virtualmente risiedere ovunque, senza che ciò faccia troppa differenza. In futuro, tale differenza si ridurrà a nulla. E allora gli operai del computer, la bassa manovalanza della new economy, non potendosi più permettere la dispendiosa vita di una città come Milano o New York, dovranno accontentarsi di un appartamento a Odessa. O a Calcutta.
Il futuro del Mondo Definitivamente Globalizzato vedrà quindi forse flussi migratori alquanto inconsueti di individui, rispetto a quella che è la nostra esperienza storica di questo tipo di fenomeni. Potremmo chiamarla una deportazione di massa - i poveri dei paesi ricchi deportati in grandi campi di concentramento chiamati India, Colombia, Zambia - se non fosse che non si tratterà di una classica deportazione, bensì di spostamenti naturali frutto di una semplice ed inevitabile conseguenza della globalizzazione unita alle leggi di mercato. I ricchi non vorranno più vedersi i poveracci intorno, ed i poveri non avranno più soldi a sufficienza per permettersi di abitare nei salotti buoni del mondo. D'altro canto, essere il ghetto del mondo ricco offrirà agli abitanti dei paesi del Terzo Mondo (sia quelli indigeni che quelli espulsi dal mondo ricco) tutte le possibilità che un ghetto di una città ricca offre a chi vi risiede: sopra le altre, l'opportunità di lavorare a distanza per i ricchi mediante Internet e guadagnarsi - destino dei più abili o fortunati - il diritto di traslocare (o ritornare) un giorno nei costosi quartieri delle ricche e ambite città della parte privilegiata del mondo. Intendiamoci: i ghetti sono ghetti, i bassifondi sono bassifondi, e di solito si tratta di un inferno e comunque di contesti poco piacevoli. Ma i ghetti di domani saranno intimamente connessi da Internet e le altre telecomunicazione con le manhattan del mondo, e questo fornirà opportunità di non piccolo rilievo a chi avrà i mezzi per coglierle. Già oggi, in paesi come l'India e la Romania assistiamo ad un forte proliferare di programmatori di software, uno dei pochi mestieri che costituisce per i giovani di quei paesi più che una speranza, quasi una garanzia di trovare un lavoro ben remunerato in Occidente o comunque per il mercato dell'Occidente, dove i programmatori scarseggiano.
Tra il ricco ed agiato mondo occidentale ed il povero e sfigato resto del mondo si instaurerà quindi in futuro uno strano rapporto osmotico di migrazioni incrociate, di telelavoro e telecarriere, di sfratti con esilio, di pendolarismo virtuale... oppure no.
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