Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban (2003)
Uno dei romanzi migliori della saga viene trasposto sullo schermo in una versione affidata al regista messicano Alfonso Cuarón, che si discosta completamente dai canoni precedenti realizzando una pellicola originale e innovativa. Un film appassionante, che non lascia tempo allo spettatore di capire cosa stia succedendo perché è come se si componesse di un'unica, inebriante e quasi onirica sequenza. Ma subito da qui sorgono due problemi che costituiscono la grande contraddizione del film. Da un lato perché in questo volteggiare di
Harry Potter e il Calice di Fuoco (2005)
La fatica di trasporre sullo schermo il voluminoso quarto romanzo è toccata a Mike Newell, regista molto convenzionale e ben collaudato almeno riguardo le commedie (Quattro matrimoni e un funerale, Mona Lisa Smile), e primo britannico purosangue. Il tentativo di Newell è quello di non farsi schiacciare dall’eredità dei romanzi, ma creare un film autoconclusivo che si focalizzi su temi a lui cari. Il risultato è la perdita del filo rosso che funge da collegamento a tutta la saga e che nel quarto episodio vede un punto di svolta, in favore di un film adolescenziale: si pone soprattutto l’accento sulla crescita di Harry, giunto ormai all’adolescenza e dunque alle prese con tutti i problemi e le nuove scoperte che da essa derivano. Un tema non secondario anche nell’opera della Rowling, ma che Newell sembra non voler perdere occasione per rimarcare in ogni momento possibile: per la prima volta una delle formule fisse della Rowling, l’estate dai Dursley, viene bypassata per giungere direttamente alla Coppa del Mondo di Quidditich e alle occhiate che Hermione e
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