I diritti di trasposizione cinematografica della saga letteraria di J.K. Rowling furono acquistati dalla Warner Bros. quando ancora il successo dei romanzi non aveva assunto il carattere di fenomeno di massa di oggi. Sicuramente i film hanno contribuito enormemente al diffondersi della “Harry Potter mania”, ed oggi la Warner può senza alcun dubbio sostenere di aver sfruttato la più ricca miniera d’oro della storia del cinema. Ancora non conclusa, la saga cinematografica supera a ogni episodio il successo del precedente. A livello di qualità non si può parlare in nessun caso di capolavoro (per intenderci, non si punta agli Oscar guadagnati dalla trilogia jacksoniana dell’Anello) eppure in qualche modo il prodotto finale resta in buona parte riuscito sia sul piano della trasposizione che su quello dell’originalità dell’approccio registico in alcuni episodi.
Harry Potter e la Pietra Filosofale (2001)
Dopo aver seguito per un po’ l’idea di un film che riassumesse i primi due romanzi della saga, la produzione ha optato – su pressioni della stessa Rowling – per seguire l’ordine della saga letteraria. Il lungo e difficile processo di casting ha visto infine emergere un trio di protagonisti che è rapidamente entrato nel cuore degli spettatori, al punto che oggi risulta difficile immaginare un Harry Potter diverso da Daniel Radcliffe, o una Hermione che non abbia le fattezze (fin troppo cesellate rispetto all’originale cartaceo) di Emma Watson, o un Ron senza le lentiggini di Rupert Grint. La direzione viene affidata a Chris Columbus, collaudato regista di commedie per ragazzi quali Mamma ho perso l’aereo e Mrs. Doubtefire. Ma il pezzo forte è stato senza dubbio l’intero staff di scenografi, che ha dato letteralmente vita al mondo immaginato dalla Rowling ricreando alla perfezione gli interni della Scuola di Hogwarts: particolari gotici e orientali, o altre volte tipici dei castelli medioevali scozzesi (dove appunto è stato girato il film), hanno conferito un'aria familiare ai lettori della saga. Anche i costumi sono perfettamente al loro posto, un esempio per tutte le perfette divise scolastiche. A ciò si è aggiunto il particolare stile british di tutta la pellicola, garantita dalla supervisione di “mamma” Rowling e dall’aggiunta di diversi volti solidi del calibro di Richard Harris nei panni di Silente, di Maggie Smith in quelli della professoressa McGranitt, e di Robbie Coltran che interpreta il mezzo-gigante Hagrid. Alle musiche, John Williams ha prodotto come suo solito un tema di fondo (battezzato Hedvige’s theme) che è in poco tempo diventato uno dei più popolari di sempre, tanto da essere riutilizzato anche dagli altri compositori dei film successivi come ‘marchio di fabbrica’. C'è un difetto di fondo, però, che molti critici hanno notato: il film è preciso e perfetto nei minimi particolari, ma manca di "anima". La trama ha il solo scopo di raccontare la storia, non possiede nulla di magico, di personale, di misterioso. Ed è una delusione perché Chris Columbus è riuscito a trasportare perfettamente nel suo film l'aspetto esteriore dei romanzi di Harry Potter, ma non l'anima che c'è dentro le trame dei romanzi.
Harry Potter e la Camera dei Segreti (2002)
Girato quasi in contemporanea con il primo film (la pre-produzione inizia già nel 2000, le riprese solo tre giorni dopo l’uscita della Pietra filosofale nelle sale), il secondo capitolo della saga cinematografica viene firmato nuovamente da Chris Columbus che può così godere del vantaggio di muoversi all’interno di ambienti già ben definiti. L’esito, tuttavia, resta inferiore alle attese: puntando di più sugli effetti digitali, la produzione realizza creazioni come quelle dell’elfo Dobby o del Basilisco indubbiamente mal riuscite, cedendo alla tentazione arginata nel primo film di "strafare" con effetti speciali e tagli registici imponenti. Così fin dalle prime sequenze scompare l’atmosfera intima del capitolo precedente e si rasenta continuamente l’esagerazione: nelle scene del volo di Harry e Ron a bordo della macchina magica durante l’inseguimento dell’Hogwarts Express o in quelle dell’inseguimento dei ragni, fino allo scontro finale col Basilisco che assume toni alla “Indiana Jones” decisamente fuori luogo. Nel cast si aggiungono i volti british del talentuoso Kenneth Branagh nei panni del professor Allock, del bravo Jason Isaacs in quelli del viscido Lucius Malfoy e del macchiettistico Mark Williams che impersona Arthur Wesley. È, inoltre, l’ultima apparizione di Richard Harris, il perfettissimo preside Albus Silente che muore il 25 ottobre del 2002, tre mesi dopo la fine delle riprese. Un altro neo del film sono le musiche, di nuovo targate John Williams. Anch’egli, come Columbus, è convinto che il grosso sia stato ormai fatto con il primo episodio e si limita a muoversi nel terreno conosciuto di musiche già note: oltre a un costante rimaneggiamento di temi precedenti si aggiunge poco di nuovo (si salva solo il Fanny’s theme udibile nel finale) e addirittura vengono riciclate alcune musiche usate per Star Wars Episodio II: L’Attacco dei Cloni. In generale il difetto di fondo del film deriva proprio dal suo punto di forza, cioè l’avere già un mondo costruito all’interno del quale operare: Colombus non mette in scena niente di originale e realizza un film poco coinvolgente, al punto che qualcosa i produttori devono aver capito se per il film successivo hanno scritturato un regista ex novo.
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