Questa si potrebbe davvero definire la storia di un uomo dal destino qualunque riuscito a diventare nel suo campo quasi una leggenda. Richard Burton Matheson, classe 1926, sembrava predestinato a una vita banale: un lavoro in fabbrica, una moglie, una casetta in periferia con giardino, auto familiare, vacanze estive e mutui da pagare. Proprio come Robert Neville, il protagonista del romanzo che cambiò definitivamente la vita dello scrittore nato nel New Jersey, e che fin da bambino aveva dimostrato il proprio talento pubblicando alcune poesie sul Brooklyn Eagle. Nel 1954, influenzato dai ricordi adolescenziali dei film incentrati sul vampiro Dracula, Matheson darà vita a Io sono leggenda (I am legend), libro capace di influenzare decenni di immaginario collettivo con il suo potente e in qualche modo “sovversivo” messaggio. Il romanzo sta per arrivare sui grandi schermi nella sua terza edizione, la quale si riappropria finalmente del titolo dell’originale, e ciò fornisce lo spunto per ripercorrere la storia e il significato che questo romanzo ha nella letteratura non solo di genere.
Riassumere brevemente la trama è quasi un esercizio accademico, data la sua notorietà: Robert Neville è un uomo qualunque, anzi, è l’ultimo uomo qualunque rimasto sulla Terra, dopo che una misteriosa epidemia ha spazzato via il genere umano trasformando i sopravvissuti in vampiri assetati di sangue: il suo… La battaglia quotidiana per la sopravvivenza si snoda attraverso le strade deserte della minuscola cittadina di periferia in cui Neville vive, tra casette abbandonate, supermercati in rovina, insieme a mille oggetti dall’uso banale durante il giorno, ma che con il calare dell’oscurità assumono un’ombra sinistra e inquietante, quando i vampiri escono dalle loro tane e costringono Neville ad asserragliarsi nella sua casa-fortezza, a ubriacarsi di whisky e a spararsi nelle orecchie musica classica a tutto volume. Novello Robinson Crusoe approdato su un’isola spazzata dalle tempeste, il percorso di sopravvivenza di Neville si snoda attraverso uno scavo interiore sempre più spietato, che si nutre dei ricordi della figlioletta Kathy, bruciata nei roghi messi in piedi dai rimasugli dell’umanità nel tentativo di fermare l’epidemia, e della moglie Virginia, “ritornata” per succhiare il suo sangue e definitivamente sepolta in una cripta mausoleo, un altare dedicato a un’esistenza impossibile da ripetere. I piccoli gesti quotidiani, radersi, mangiare, fare le pulizie, fare la spesa, fare strage di vampiri dormienti a colpi di paletti nel cuore, sono l’espressione più alta della potenza della visione del romanzo, e della capacità di Matheson di calare l’orrore nella realtà a noi più vicina che lo scrittore dimostrerà anche nelle sue opere future, soprattutto nelle sceneggiature cinematografiche e televisive.
Nel lotta con l’assurda banalità della giornata di un superstite, appare determinante il continuo confronto con l’alter ego di Neville, Ben Cortman, ex buon vicino di casa e collega di lavoro, che dalla sua dimensione vampiresca ogni notte ripete una cantilena di sfida: “Vieni fuori, Neville!”, a ricordare al protagonista come talvolta ritrovarsi umani o vampiri sia solo frutto del caso. Nei ripetuti scontri notturni, Neville e Cortman si cercano e si trovano, si scambiano varie volte i ruoli di assalitore e assalito in una sfida dal sapore allegorico, il bene e il male che convivono dentro di noi odiandosi ma non potendo fare a meno l’uno dell’altro. E per cercare una spiegazione al fato che ha separato le esistenze dei due amici Neville si imbarca in un altro percorso ancora più periglioso, la ricerca delle cause scientifiche dell’epidemia. Tra medicina e mito, Neville arriva lentamente a riannodare i fili di un intreccio variegato, comprendendo che la mostruosità del vampiro nasconde una verità altamente razionale. Anche se appena inficiato dalla scarsa verosimiglianza delle teorie scientifiche illustrate da Matheson, e di cui allo stesso autore in fondo importa poco, la potenza del messaggio si spiega pagina dopo pagina: la “diversità”, il timore di ciò che non ci somiglia è solo l’interpretazione che il nostro cervello fornisce di quello che non riesce a capire.
Ecco che allora l’orrore quotidiano diventa semplicemente un’altra normalità, un assetto differente ma non necessariamente peggiore di rapporti e relazioni. L’irrompere sulla scena della giovane Ruth non fa che acuire e ampliare il messaggio: Ruth, apparentemente una scampata come Neville, si rivela invece essere l’esponente di una nuova razza di vampiri “senzienti” che ha imparato a dominare la propria natura, ed è intenzionata a costituire le basi di una nuova società.E qui si intravede la natura realmente sovversiva del romanzo. Che sia fatta da umani o vampiri, una qualunque società non può tollerare ciò che non si allinea. La normalità viene vista per quello che è: un concetto soggettivo, uno stato basato non su regole etiche o giuridiche, ma su un giudizio di valore ampiamente condiviso. Se nelle società tribali incesto e cannibalismo venivano praticati in quanto considerati “normali”, la condizione vampiresca rende inaccettabile qualunque forma di vita che non si adegui.
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