Per la maggior parte del tempo non era una bella vita. Le ferite di Felix non si rimarginarono mai, neppure quelle della maggior parte delle altre persone. Ci furono malattie lente ed epidemie improvvise. Tragedia sulla tragedia.Ma a Felix il suo data center piaceva. Là, tra il ronzio degli armadi, non gli sembrava di vivere i primi giorni di vita di una nuova nazione, ma nemmeno gli sembrava di vivere gli ultimi.

> vai a letto, felix

> tra poco, kong, tra poco — ho quasi sistemato questo backup

> che drogato

> senti chi parla

Ricaricò l’homepage di Google. Queen Kong lo teneva online da un paio d’anni ormai. Le O di Google cambiavano in continuazione, ogni volta che le girava di farlo. Quel giorno erano due globi stile fumetto, uno sorridente, l’altro accigliato.

La guardò per un bel pezzo, poi tornò al terminale per controllare il backup. Andava tutto tranquillo, una volta tanto. I dati del piccolo governo erano al sicuro.

> ok, notte

> stammi bene

Quando Felix si affaccio dalla porta, Van lo salutò sgranchendosi la schiena in una fila di schiocchi.

— Buona notte, capo.

— Non startene ancora qui tutta notte — disse Felix. — Hai bisogno di riposare.

— Sei troppo buono con noi merdine — disse Van, rimettendosi a digitare.

Felix andò alla porta e camminò nella notte. Alle sue spalle, i generatori a biodiesel ronzavano ed emettevano fumi pungenti. La luna piena, che tanto amava, era alta nel cielo di settembre. L’indomani sarebbe tornato e avrebbe sistemato un altro computer, combattendo ancora una volta contro l’entropia. Perché no?

Era ciò che faceva.

Era un sistemista.