Questo è un romanzo atipico.
Non atipico in sé – si tratta di un romanzo di formazione – ma atipico nella produzione di Vittorio Catani, uno degli autori italiani di fantascienza più noti in patria e all’estero.
Conobbi letterariamente Vittorio molti anni fa sulle pagine della prima serie di Robot, una delle poche riviste di fantascienza a distribuzione nazionale degli anni Settanta. Dopo l’uscita in edicola, anche a distanza di qualche anno, i numeri di Robot si potevano ancora trovare sulle bancarelle e fu proprio su una copia di seconda mano che lessi per la prima volta un suo scritto, Il pianeta dell’entropia, un racconto lungo veramente buono che riusciva a coniugare i temi sociali ed etici cari alla fantascienza italiana con l’esplorazione dei mondi e l’incontro con forme aliene di comunicazione. «Questo Catani va tenuto d’occhio», mi dissi chiudendo la rivista. Ma chi si incontra sulle pagine dei libri, proprio come chi si incontra nella vita, può perdersi di vista: per molto tempo non ebbi più occasione di leggere suoi racconti, anche se Vittorio continuava a scrivere e a pubblicare. Fu soltanto nel 2001, durante un piccolo convegno sulla fantascienza organizzato insieme ad altri appassionati a Torino che riuscii a (ri)conoscere Catani; ne nacque una collaborazione che ancora dura e che mi permise, fra l’altro, di contribuire a pubblicare alcuni suoi racconti, passando da lettore-fan a «editore». Una bella soddisfazione.
Poiché Vittorio si muove di preferenza nel campo della fantascienza, non avrei immaginato che scrivesse romanzi diversi, o meglio, molto meno diversi: di ambientazione quotidiana e privi di mondi lontani nello spazio e nel tempo. E invece, qualche anno fa, ricevetti in allegato a una delle sue mail, un file piuttosto pesante… «[…] un romanzo breve. Devo ancora lavorarci un po’… Non è una delle mie solite cose. Fammi sapere che ne pensi».
Lo lessi d’un fiato, in treno, diretta verso un weekend al mare. Il mio vagone era uno di quelli senza scompartimenti, gremito di viaggiatori meno fortunati di me che pencolavano in piedi urtandomi e scusandosi. Io rispondevo a monosillabi, un sorriso sempre uguale stampato in faccia. E leggevo. Finii appena in tempo per scendere alla mia stazione. «Ne penso molto bene», scrissi a Vittorio il lunedì successivo. Era una bella storia, un piccolo, compatto romanzo di formazione, ambientato in Puglia negli anni Cinquanta e Sessanta, pieno di dettagli illuminanti sulla vita degli adolescenti e dei giovani di allora, il racconto efficace di un passato «ordinario» che lentamente si trasforma in un presente malinconico mentre il protagonista vive la sua vita e invecchia e si volta indietro a cercare un significato. Una storia da pubblicare, che valeva la pena attendere mentre Vittorio la sottoponeva a quel lavoro di artigianato che rende le belle storie meritevoli di essere lette parola per parola. Ed eccolo qui, Per dimenticare Alessia, un racconto che trascina il lettore, con numerosi flashback, in più piani temporali; ;;dal presente di Alessia e Leonardo che cercano, in una vacanza di viaggio costellata di imprevisti, di ritrovare l’affiatamento e l’intimità perduti al passato ormai lontano di Leonardo bambino nel primo dopoguerra, agli anni Sessanta di una gioventù vissuta in provincia, sospesa fra il primo impiego, le serate trasgressive per vincere la noia e le festine domenicali in casa di amici, con il giradischi piazzato in tinello e gli sguardi inquisitori dei genitori delle ragazze, timorosi che il ballerino di turno stringesse la figlia con troppo entusiasmo. E la svolta, l’incontro determinante fra Leonardo e Alessia…
Una storia, «ordinaria», insomma, e due protagonisti che potrebbero essere nostri vicini di casa o nostri parenti. Gente normale, che Vittorio disegna con attenzione e sensibilità ma anche con quel tratto ambiguo che costituisce il vero talento di scrivere, proiettando Leo, simpatico e tollerante ma sfuggente e poco affidabile, giovane banale ma gravato dal fardello di sogni misteriosi, nella dimensione più ampia della condizione umana. E regalando ad Alessia, la ragazza bella e vitale che cerca l’amore ma è capace di condurre da sola la propria vita, le sfumature inquietanti di una «donna dell’eccesso giusto». Per dimenticare Alessia merita di diritto un posto nella collana N&D, Nobile & Disperata, nata per ospitare opere generose e atipiche, difficili da definire e da collocare. Un romanzo sul passato scritto da un autore che normalmente si occupa di futuro.
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