Anche Massimo Mongai, come è capitato a molti fra i vincitori del premio Urania, torna nella collana mondadoriana con un nuovo romanzo. L'autore romano dimostra un deciso miglioramento dai tempi delle Memorie di un cuoco d'astronave, riuscendo a confermarsi come interessante autore di fantascienza leggera e avventurosa, e perché no, divertente.

In questo secondo romanzo si sentono forti, anzi fortissime, le influenze dei più ispirati autori di fantascienza d'avventura, Philip Farmer e Jack Vance. Mongai parte proprio da un'idea molto simile a quella usata da Farmer per il suo ciclo più celebre, quello del Fiume: il protagonista muore all'inizio del libro, per risvegliarsi in un mondo completamente diverso.

Da questo momento comincia una girandola di avventure condotta su due binari, da una parte la scoperta di questo mondo molto particolare che ricorda il "Pianeta Gigante" di Jack Vance, dall'altra la ricerca dei "giocatori" che usano il nostro protagonista per un immenso gioco di cui lui può solo intuire le regole.

A dire il vero, viene un po' il sospetto che l'idea del libro sia nata proprio da un gioco, da un role playing game, di cui Mongai dà esplicitamente le regole. Del resto, non sarebbe certo il primo caso di romanzo nato da una partita di RPG rielaborata.

In ogni caso il prodotto che ne è uscito, sebbene dia spesso una sensazione di deja vu (Mongai non si fa troppi scrupoli nel farsi "ispirare"), è molto piacevole e divertente.