Difficile che un convegno accademico entusiasmi al punto di proiettare l’ascoltatore in una sorta di giardino delle meraviglie, deliziargli mente e sensi, lasciare un vuoto a lavori conclusi. Difficile, ma a me è accaduto qualche volta. Nei giorni dal 25 al 27 ottobre, nella Sala degli Affreschi dell’Università di Bari ho assistito a Machinae. Tecniche Arti Saperi nel Novecento, convegno sponsorizzato da una diecina di enti istituzionali e privati, organizzato dal CRAV di Bari (Centro Ricerche Avanguardie), articolato in una trentina di relazioni e due concerti.
In sostanza il congresso era imperniato sul rapporto fra la macchina e l’uomo: tema vastissimo, suscettibile di infinite derivazioni e derive. Ma i relatori – pur di varia specializzazione e talora di diversa nazionalità – hanno saputo ben contenere, delineare, approfondire, ampliare (se necessario) l’argomento, conferendo un’impronta di complessiva unitarietà e la sensazione finale che la materia si schiudesse a ulteriori, labirintiche agnizioni. E benché l’argomento non fosse specificamente fantascientifico, esso si prestava fortemente (e si è effettivamente prestato) a legittime “incursioni” nel tentacolare universo della scienze fiction.
Ha introdotto i lavori il professor Giuseppe Barletta, direttore del CRAV, delineando una genealogia del rapporto uomo/macchina, richiamandone alcune fascinose e spesso controverse valenze, in questa sorta di reciproca rincorsa fra l’uomo e il suo manufatto tecnologico. Per rendersi conto di quanto possa rivelarsi estesa la tematica, basterà pensare che già il linguaggio è una “macchina”, forse la prima che l’uomo abbia creato; ce lo ha ricordato il professor Carlo Sini dell’Università Statale di Milano nella sua relazione (L’automa). Sini ha affrontato il tema da un punto di vista fra antropologico e filosofico, illustrando come le macchine siano “segni” tramite i quali l’uomo costruisce la propria cultura. In questo senso, una macchina delle più antiche è la “tomba”: motore di relazioni e strutture fisiche e mentali correlate fortemente al nostro vissuto e alle nostre tradizioni, per cui la macchina-tomba può facilmente trasformarsi in una macchina da guerra. In questa vasta accezione, “macchina” è anche Dio. E un “automa” è il “denaro”, che peraltro possiede la facoltà mostruosa di auto-moltiplicarsi, proliferando e infettando come un virus; ma in quanto prodotto dell’uomo, come l’uomo esso deve avere una sua finitudine: l’umanità – conclude Sini – troverà la sua vera realizzazione, la sua supremazia sulle macchine, solo quando saprà uccidere il denaro.
Con la successiva relazione del professor Carlo Pagetti (dell’Università di Milano), i temi in discussione hanno imboccato una strada oggi “inevitabile”, se è vero che la fantascienza nasce e vive proprio per descrivere e rappresentare l’impatto di una Grande Macchina (la tecnologia) su individuo e società. Ben noto in ambito fantascientifico fin dai primi anni ’60 per i suoi approfondimenti teorici e per lo stimolo fornito alla non ricchissima critica di fantascienza in Italia, Pagetti ci ha “naturalmente” condotto verso i territori di ciò che è Umano, non-umano, troppo umano: la macchina e la fantascienza, districandosi fra letteratura, pittura, cinema, storie asimoviane e dickiane, indistinguibilità uomo/macchina, per poi richiamare l’attenzione su una società e una cultura sempre più automatizzate e meccanicistiche.
Bruno Pompili (Università di Bari), membro del Comitato scientifico del convegno, scrittore, ha intrattenuto l’uditorio su altri “congegni”, sviluppando il tema Sceneggiatura vs. romanzo. Bruno Brunetti (Università di Bari), scrittore e saggista, anch’egli in varie occasioni coinvolto in interessanti fanta-iniziative, ha illustrato il tema Fordismo e sapere novecentesco: Conrad, Céline, Gramsci. Per brevità mi limito ai titoli di alcune fra le altre relazioni: La macchina-uomo negli anni Venti in Germania, La macchina volante nella poesia futurista degli anni Trenta, Il futuro delle discipline umanistiche in una società tecnologica, L’avvenire è una macchina grottesca: Jarry, Savinio; La costruzione del film e il montaggio della Creatura; Il Living Theatre: la macchina Frankenstein; Machines désirantes et duplications; Patologia dell’automa: il celibato delle forme.
In chiusura, Massimo Del Pizzo (Università di Bari), autore di storie fantastiche, noto ai lettori di Fantascienza.com e Delos (dove è stato pubblicato un suo racconto), ha parlato su L’anitra e il cyborg: una generazione di fenomeni (l’“anitra” è un automa settecentesco costruito dal celebre Jacques de Vaucanson). Notevolissimo interesse rivestiva, inoltre, la serie di interventi aperta con L’uomo, la macchina, la musica di Luigi Pestalozza (Accademia delle Belle Arti di Brera Milano) e che è proseguita con Macchine e musica. Incontri, tangenze, promesse (Angela De Benedictis, Berlino); Musiche per macchine volanti: Balilla Pratella, Weill/Brecht, Dallapiccola.
A complemento, l’esecuzione di due concerti: Histoire d’un petit train de plaisir per voce recitante, due pianoforti e due percussioni, di Azio Corghi su testo di Quirino Principe, voce recitante Milena Vukotic (composizione in prima esecuzione assoluta). Il lavoro è un “balletto comique-imitatif” ispirato a uno spiritoso brano per pianoforte tratto da Péchés de veillesse di Gioacchino Rossini. Il secondo concerto, Musiche per Acusmonio, era a cura di F. Degrassi, su musiche di Bayle, Favre, Truaux, Degrassi, Vetrano. Cos’è la “musica acusmatica”? In sostanza, è una musica “assoluta”, un po’ ideale, percepita unicamente quale fonte sonora astraendo da qualsiasi altra forma di percezione: si veda la pagina sul sito it.wikipedia.org/wiki/Arte_acusmatica.
Se fin qui la fantascienza, occasionalmente evocata o intravista, restava quasi sempre sullo sfondo, con il connubio macchina/musica la parentela si fa molto più esplicita, talora evidente. E’ stato proiettato un breve, prezioso filmato in cui Leon Theremin suonava il suo (omonimo) strumento. Il theremin fu costruito nel 1917; il suono nasce e si modula dalle oscillazioni di valvole termoioniche. Fu il primo strumento suonabile senza doverlo toccare, semplicemente avvicinandosi ad esso, insomma “con il corpo”. Diapositive e DVD hanno poi mostrato immagini d’archivio di strumenti musicali elettrici di fine Ottocento e primo Novecento: il “telegrafo musicale” di Elisha Grey (Usa 1874); il “pianoforte Audion” (a suoni elettrici) di Lee De Forest (Usa, 1917); il colossale “telharmonium” di Thaddeus Cahill (Usa, 1897). Costruito a New York, il telharmonium possedeva tre tastiere e i suoi meccanismi interni – decine di “canne” del diametro di mezzo metro, ciascuna sagomata in otto forme differenti – si sviluppavano nello spazio di ben tre stanze e il funzionamento richiedeva un impianto telefonico. Per le sue dimensioni, lo strumento si trovava a interferire con i telefoni della adiacente Borsa di New York. La storia narra che gli operatori di borsa, inferociti, letteralmente fecero a pezzi lo strumento gettando il tutto nel fiume Hudson (questa roba ricorda un po’ lo sfascio delle macchine in “Player Piano” di Vonnegut… Ovviamente, il telharmonium non è stato mai più ricostruito). E poi ancora tanta strumentazione meccano-elettrica fra cui il celeberrimo “intonarumori” del futurista Luigi Russolo (Italia, 1913), nelle tre versioni: l’intona-ululati o “ululatore”, intona-gracidii o “gracidatore”, intona-crepitii o “crepitatore”. E ancora le Onde Martenot (Francia, 1928), anche queste illustrate con esempi da registrazioni; e negli anni ’50 il “sintetizzatore” (il primo in Urss, 1958), determinante per la musica sia “colta” sia popolare (qualcuno ricorda il Moog? Usa, 1963) Alcuni di questi strumenti, perfezionati, registrarono un “boom” negli anni ’50 presso le scuole musicali d’avanguardia di Parigi, Colonia, Milano e tuttora sono usati comunemente, nelle orchestre sinfoniche e nella musica rock e pop. Nella sala delle relazioni è stato distribuito l’elenco d’una novantina di strumenti proto-elettronici ed elettronici, ricavato da una lista di circa 500 voci. E qui, leggendo di macchinari stupefacenti e inventori geniali, ho trovato due strumenti inventati nientemeno che… da Hugo, il nostro comune “padre” putativo Gernsback: lo “staccatone” (1923) e il “pianorad” (1926). Visitare per credere: davidszondy.com/future/music/staccatone.htm (dove si trovano notizie su numerosi strumenti, alcuni citati in questo articolo). Gente, la fantascienza cos’è: un uccello? un aereo? Nossignori. E’ una “macchina”.
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