Per concludere, proviamo a parlare di fantascienza italiana. Con tutte le sue contaminazioni (orrore, giallo hard-boiled), questo è fino in fondo e orgogliosamente un romanzo di science fiction, che (cosa purtroppo rara nel panorama italiano) prova a mettere in primo piano le premesse scientifiche e tecnologiche. Quale ti sembra la situazione, in quale direzione ti auguri che si muova?
La fantascienza italiana sta vivendo un periodo che non esito a definire cruciale. Improvvisamente, dopo una fase di contrazione del mercato e degli sbocchi che sembrava lasciare senza speranza autori e lettori, stiamo assistendo a una progressiva ripresa del genere. Merito forse di un cambiamento di sensibilità del pubblico, che sembra tornato a esercitare legittime pretese di interesse e curiosità sul domani. Interrogarsi sul futuro era un po’ passato di moda, diciamoci la verità: ma l’attualità, di questi tempi, impone una revisione radicale nelle strategie di sopravvivenza. E la fantascienza è lo strumento più valido che abbiamo a disposizione per confrontarci tanto con i temi che oggi ci pressano, quanto con le problematiche che potrebbero condizionare il nostro futuro. Sul piano dell’azione, l’Italia mi sembra allineata con la fantascienza britannica e in modo particolare con la nuova generazione del rinascimento scozzese. Attraverso le atmosfere future-noir familiari ad autori come Alberto Cola, Fabio Nardini e Dario Tonani (nella scia di Alan D. Altieri e poi di Nicoletta Vallorani), nell’irriducibilità di personaggi storici della nostra tradizione letteraria del calibro di Vittorio Catani, o grazie alle folgorazioni postumaniste dei miei compagni connettivisti, per fortuna si vede in giro una vitalità di idee e iniziative che mi conforta. Sul piano editoriale, la situazione è altrettanto promettente. La nuova gestione Altieri delle collane da edicola della Mondadori ha molto giovato a Urania, permettendole di realizzare quello che doveva essere da anni un sogno di Giuseppe Lippi: concedere uno spazio crescente agli italiani. Non solo i 2 o 3 romanzi pubblicati ogni anno a firma di autori nostrani, ma anche la splendida iniziativa dei racconti “d’appendice” stanno a testimoniare una svolta di cui starà a noi saper cogliere gli indubbi vantaggi. E se dalla massa entriamo un po’ più nella nicchia, ci accorgiamo di quanto salutari siano le iniziative della Delos Books (con la collana Odissea Fantascienza che dovrebbe dirti qualcosa, ma anche con la rediviva, impareggiabile Robot di Vittorio Curtoni), della Ferrara Edizioni (con un progetto analogo, ma rivolto esclusivamente ad autori del fantastico italiano, senza distinzione tra i vari generi ma chiamando ognuno con il giusto nome: fantascienza, horror, fantasy) o della Kipple di Lukha Kremo Baroncinij e, spostandoci in ambito fumettistico, della Cagliostro di Giorgio Messina. Senza contare poi i titoli che continuano a uscire in collane generaliste, evitando magari l’appellativo di “fantascienza”. E il fandom non è da meno: NeXT, Continuum, Hypnos, la Nazione Oscura Kaos-SF, sono tutte figlie di una stagione culturale intensissima, frutto di un lavoro di cooperazione forse senza precedenti.Ma io credo che altrettanto salutare risulterà per la fantascienza italiana anche la riuscita che auspico per iniziative coraggiose come quella intrapresa da Armenia, orientate a colmare in libreria un vuoto venutosi a creare dopo l’assimilazione della Nord nel gruppo Longanesi. Ma anche qui tu sei meglio informato del sottoscritto… Personalmente, sono convinto che garantire diffusione e visibilità alle opere più significative apparse sui mercati esteri negli ultimi tempi, e magari finora ignorate qui da noi, sia fondamentale per rafforzare quel dialogo e confronto tra tradizioni nazionali (e linguistiche) da cui non è possibile prescindere in uno scenario globalizzato.Per quello che riguarda il futuro, se a decretare il successo delle linee editoriali a cui accennavo sopra sarà la risposta del pubblico (dopo gli imbarazzanti commenti che hanno accompagnato il Nobel a Doris Lessing, inutile confidare ormai sull’attenzione della critica fuori dal settore), in ambito letterario mi auguro che, nel solco tracciato negli anni scorsi da Franco Ricciardiello, Massimo Pietroselli, Donato Altomare, Paolo Aresi e Alessandro Vietti, si riesca a riportare il focus su tematiche scientifiche, bilanciando in questo modo il baricentro di un genere che per molti anni ha privilegiato (con opere altrettanto valide firmate, per esempio, da Luca Masali e Lanfranco Fabriani) aspetti ucronici e indagini storiche. Al punto a cui siamo arrivati oggi, non vedo davvero altra strada per tracciare una riflessione analitica sulla nostra società, che considerare l’impatto della tecnologia o sviscerare il meccanismo storico dei processi che sono in atto. La dialettica tra queste due sensibilità sarà certamente determinante nello sviluppo futuro della fantascienza italiana. Il connettivismo ha avanzato una sua proposta di sintesi ad ampio raggio, che è debitrice dell’insegnamento di tutti loro come pure di Valerio Evangelisti. Vedremo se saprà giocare come spero le sue carte, esercitando una funzione compensatrice e riavvicinando magari un segmento sempre maggiore di lettori alle tematiche dell’attualità scientifica e tecnologica, a una sensibilità hard che qui da noi ha sempre faticato ad attestarsi e a quell’intersezione con l’immaginario da cui ci siamo andati sempre più allontanando dopo la vivace stagione del cyberpunk.
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