Restiamo al tema della città, che sembra anche lasciare aperte delle promesse. Se Gibson ha la sua Night City, tu hai la Città del Sogno. Abbiamo i necromanti e le droghe pesanti (pesantissime), e l’architettura urbana è sempre presentata con immagini di impazzimento canceroso e altre analogie alla biologia molecolare. Ma c’è anche una presenza utopica (forse pseudo-utopica peraltro) come le arcologie. A un certo punto, qualcuno dice: “il kipple è un campo di battaglia”. Che tipo di battaglia si sta combattendo? Che tipo di vita vorrebbe costruire il detective Briganti con la sua storia personale e la sua Sezione Pi-Quadro?
Una battaglia sotterranea, che è la classica lotta per la sopravvivenza. Solo che in questo caso il nemico è la quintessenza di ogni mancanza di alternativa: la disgregazione, la fine di tutte le cose, l’entropia. L’oblio. Il kipple deriva direttamente dalle pagine di Dick: è una melma in grado di assimilare qualsiasi oggetto o forma, agendo su tempi relativamente lunghi. Senza fretta. La sua genesi resta avvolta nel mistero, anche se sembrerebbe in qualche misura legata alla specificità del luogo e alla sua storia (in particolare a un’ipotetica eruzione futura del Vesuvio) e riconducibile a un uso particolarmente disinvolto delle nanotecnologie. La città lotta per non soccombere al kipple. Solo che, come siamo ormai abituati, c’è qualcuno che trae vantaggio dal lavoro dei più. E mentre la stragrande maggioranza della popolazione è costretta a vivere in ambienti malsani e degradati, i signori della città se ne stanno arroccati nelle loro ville sui Camaldoli o nelle arcologie del Distretto Corporativo. La mia Napoli è una città-alveare che si batte per non finire metabolizzata da un morbo che la mina dalle fondamenta, rendendo disperato qualsiasi tentativo di riscatto. Ma talvolta una partita persa in partenza può vedere ribaltato all’improvviso l’equilibrio delle forze in campo. E tutto sommato, forse, il degrado morale non ha vinto definitivamente la carica di certi ideali, se Briganti si guadagna per strada un manipolo di agguerriti alleati per la resa dei conti finale.
Abbiamo descritto lo sfondo, adesso ti va di dire qualcosa sulla storia raccontata nel romanzo?
Il mondo che dipingo in Sezione π2 vive nell’eco della Singolarità Tecnologica. Si tratta di un concetto molto affascinante, venuto fuori dalla creatività di uno scrittore di fantascienza come Vernor Vinge nel 1993 e ribadito in seguito da numerosi autori, da Ken MacLeod nel cosiddetto ciclo della Rivoluzione d’Autunno a Charles Stross nel suo romanzo rivelazione, Accelerando. Un’idea che si è diffusa prima in ambito scientifico, poi è stata ripresa da alcuni ambienti transumanisti (penso al lavoro del futurologo Ray Kurzweil e alla sua Legge dei Ritorni Accelerati), e alla fine è rimbalzata indietro nella letteratura. In realtà, l’intuizione di base era già presente nel saggio di Thomas Pynchon Is It OK To Be a Luddite?, del 1984. Guardando indietro, posso dire che la mia Singolarità somiglia molto di più alla convergenza delle linee di sviluppo di nanotecnologie, automazione e genetica di cui parla Pynchon piuttosto che alla Singolarità di Vinge, che descrive il mondo rivoluzionato dalle Intelligenze Artificiali. La Singolarità di Vinge si basa su un presupposto utopico e allo stesso tempo inquietante: se come specie sopravvivremo al suo avvento, dopo un inevitabile intermezzo di assestamento il mondo del giorno dopo sarà migliore per tutti. A onor del vero, occorre notare come proprio di recente Vinge sia tornato sui suoi passi, illustrando scenari futuri alternativi e alquanto problematici. Nel mio caso, è la Singolarità stessa a radicalizzare conflitti, attriti e fratture già aperti prima del suo avvento. Perché? È presto detto: non credo che ci verrà regalato nulla, la natura e la storia non sono solite fare credito né sconti, e per l’attenzione che riserviamo oggi ai problemi del mondo – dall’inquinamento all’effetto serra, dallo smaltimento delle scorie tossiche ai conflitti etnici, dalla deforestazione alla demilitarizzazione della ricerca scientifica, dalla desertificazione all’indebitamento del Terzo Mondo – perché mai dovremmo aspettarci qualcosa di buono da un evento che rispetto a oggi amplificherà di interi ordini di grandezza ogni incertezza attuale?
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