Sebbene l'Afrofuturismo non si presenti al suo interno come un movimento omogeneo, coinvolgendo artisti anche molto differenti tra loro, conserva nella letteratura in quanto strumento universale di espressione, la giuntura capace di donarne una continuità concettuale. Scrittori come S. Delany, Octavia Butler e Nalo Hopkinson, contribuiscono dunque a tracciare un punto di partenza dal quale è possibile comprendere lo spirito di questo movimento che negli ultimi anni ha suscitato sempre un maggior interesse negli studiosi di SF. Il genere si presta dunque come metafora. Il robot è il prototipo dello schiavo moderno deportato e oppresso dall'alieno bianco colonialista e oppressore. L'astronave è la nave negriera che solca un cosmo, l'oceano Atlantico, verso il pianeta alieno, l'America, dove si perpetueranno schiavitù e segregazione. Il punto di contatto tra la fantascienza nera e la musica elettronica consiste nell'esperienza di avere già vissuto l'Apocalisse: scrittori come Delany o Butler narrano di mondi sopravvissuti a una catastrofe e di identità negate senza speranza né risoluzione. La visione condivisa è che la mancanza di consapevolezza della propria cultura e storia, sia la causa dello statuto sociale dei neri in America. Un altro esempio cinematografico che può essere ricondotto all'Afrofuturismo è il famoso Matrix Reloaded. Per molti afro americani la serie di Matrix acquisisce numerosi significati. Uno dei temi maggiori che emerge alla visione della pellicola è appunto la necessità di liberare la mente e vedere la realtà del mondo sotto il segno
Sulle tracce dell'Afrofuturismo
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