Il termine Afrofuturismo compare per la prima volta nel 1994 in uno scritto di Mark Dery intitolato Black to the Future e contenuto in Flame Wars: The Discourse of Cyberculture. In quanto teorico della cibercultura, Dery elabora il proprio pensiero a partire da interviste con scrittori di fantascienza quali Samuel R. Delany e i critici Tricia Rose e Greg Tate. L'articolo stabilisce molteplici approcci a temi presenti nella letteratura di SF in relazione alla storia del popolo africano: le similitudini che esistono tra la fiction a carattere utopico/distopico da una parte e realtà sociale dall'altra, sono all'origine di nuovi campi di indagine e di inchiesta sul cammino della Storia. Inizialmente l'Afrofuturismo si presenta come un approccio estetico che mescola elementi della fantascienza, della fiction storica e del genere fantasy, con le cosmologie non occidentali per criticare la presente condizione del popolo nero e riesaminare gli avvenimenti storici del passato in chiave innovatrice. Una questione che sorge spontanea ad un primo approccio è la seguente: in che modo la fantascienza si presta a riflessioni di genere politico-sociale? Rispondere a questo interrogativo significa tener conto dell'esperienza letteraria di innumerevoli scrittori, tra i quali Philip K. Dick, autore statunitense la cui fama è oramai ben nota. La fantascienza dickiana destabilizza l'immagine della realtà per sottolinearne il carattere provvisorio ed incompleto, sottomettendo a una critica scettica le pretese ontologie ingenue, ovvero quelle teorie sulla realtà prive di una riflessione epistemologica sul quotidiano. Se il passaggio alla modernità può essere riassunto nel passaggio dall'ontologia all'epistemologia, dal momento che essa caratterizza uno studio della realtà attraverso la nostra capacità di conoscerla, possiamo affermare che in Dick la domanda ontologica passa tacitamente attraverso la critica della funzione cognitiva. Nel prospettare scene future dove la scienza descrive il nostro rapporto con la realtà stessa, approfondendo una funzione scettica relativa al nostro presente e vissuto, la fantascienza pone una questione epistemologica di considerevole importanza: in quale misura il nostro universo è costruito attraverso i mezzi scientifici e fino a che punto possiamo noi riconoscerne gli effetti e i cambiamenti? La proliferazione di realtà soggettive alla quale assistiamo nel corso della narrazione e che hanno la funzione di catapultare il lettore nella ricerca di una realtà autentica, è per l'autore uno strumento letterario ed insieme filosofico di analisi e denuncia della società contemporanea. Chi siamo? E quali sono i nostri limiti e possibilità? Con l'avvento del post-modernismo, sostiene F. Jameson, l'uomo ammetterà la fine dei grandi miti e delle grandi illusioni del secolo passato che fonda la soggettività nella memoria intesa come risorsa sicura di documentazione e testimonianza, dando voce a tutta una serie di pensieri che si impegnano nell'interpretare l'andamento storico contemporaneo. Philip K. Dick sembra avanzare determinate riflessioni nei suoi scritti, focalizzandosi sulla difficoltà di separare ciò che è reale da ciò che non lo è. La società da lui descritta vive stordita dal potere mediatico che fa dell'apparenza il principio dominante, contribuendo a creare una realtà artificiale che rimpiazza la realtà autentica. La riflessione che emerge dal testo struttura il contrasto tra una realtà possibile (virtuale) e una realtà attuale (empirica). Partendo dalla crisi del concetto di reale e di conseguenza dalla crisi della conoscenza del mondo circostante, lo scrittore statunitense si impegna a denunciare la condizione socio-politica della società contemporanea e il suo degrado. La decadenza espressa nella perdita dei valori umani a causa dell'impiego massiccio della tecnologia, e l'immagine futura che mostra l'uomo ormai preda di un orribile destino, sono il

Philip K. Dick
Philip K. Dick
risultato della visione dickiana del presente. Queste tematiche che Dick sviluppa allo stato embrionale sono alla base della letteratura CyberPunk dove l'accento è spostato sul rapporto che sussiste tra essere umano e avvento tecnologico. L'impatto con le nuove tecnologie e nuovi sistemi di comunicazione di massa, ha riformulato il nostro rapporto con l'ambiente circostante, producendo uno slittamento della realtà verso una nuova dimensione, l'iper-reale, e del soggetto senziente verso il post-umano. Con post-umano pensiamo, come scrive Roberto Marchesini, a una serie di trasformazioni che concernono il rapporto dell'uomo con la realtà empirica circostante e la regolazione dei processi culturali. All'interno del dibattito acceso intorno a questo tema possiamo rintracciare una posizione dove la tecnologia si rende capace di svelare nuove possibilità di emancipazione e di sviluppo di soggettività nuove. L'idea centrale che sostiene questa tesi è appunto quella dell'individuo inteso come work in progress che si mantiene aperto alla sperimentazione e al gioco attraverso la flessibilità di un lavoro continuo di “rimaneggiamento”. Contrariamente alla posizione dickiana che considera la tecnologia come matrice d'oppressione, rendendo l'uomo inferiore alle macchine modificandone la mente e il corpo, ritroviamo qui una visione positiva di cui l'Afrofuturismo si appropria.