Salvatore Proietti insegna Letterature anglo-americane all'Università della Calabria, ed è direttore di Anarres. Fra i suoi lavori più recenti, la cura di Henry David Thoreau, Dizionario portatile di ecologia (Donzelli 2017), e saggi su Samuel R. Delany (Leviathan, A Journal of Melville Studies, 2013) e sui conflitti razziali in Philip K. Dick (in Umanesimo e rivolta in Blade Runner, a cura di Luigi Cimmino et al., Rubbettino 2015), e una panoramica storica della SF italiana (in Science Fiction Studies, 2015), oltre alla riedizione della traduzione di Paul Di Filippo, La trilogia steampunk (Mondadori 2018).
Ad Anarres, Ursula K. Le Guin ha lasciato un ultimo regalo, nel contatto con Brian Attebery per l’articolo qui tradotto: per questo, e tanto altro, il più sentito ringraziamento. Figlia di antropologi della generazione che per prima aveva teorizzato e praticato l’osservazione partecipante, Le Guin è stata un’antropologa rispettosa delle alterità, attenta all’ascolto delle storie che le sue creazioni fantastiche avevano da raccontare – e ci ha trasmesso un esempio etico nella narrativa e nella critica.
Anche in Italia, ad aprire la strada ad approcci seri alle culture popolari sono stati innovatori democratici dell’antropologia come Ernesto de Martino (e Gianni Bosio, e Giulio Angioni – e pensiamo agli studi sui vampiri di Vito Teti, o sulla musica e sulla SF/F di Alessandro Portelli, storico orale oltre che americanista, e anche all’attenzione verso la fantascienza, da sociologo, di Paolo Jedlowski). L’osservazione partecipante implica disponibilità a imparare dagli “altri” mondi (learning from other worlds, diceva il titolo del Festschrift dedicato qualche anno fa a Darko Suvin), non un esame dall’alto mirato solo a riaffermare la posizione di potere dell’analista: gli esploratori positivisti-colonialisti davanti ai nativi come la rigida gerarchia del canone (e/o di a priori ideologici) davanti a forme culturali “diverse”, lontane dai parametri di attribuzione del “capitale culturale”. Anche per questo in Italia sono state le lingue e letterature straniere, per cui lo studio dell’alterità è la ragion d’essere, più di altri campi, ad accogliere i generi popolari senza pregiudizi.
Perché la SF/F ha una storia tutta sua, storie tutte sue, nella scrittura e nei media visivi, reti di voci, scuole, presenze, istituzioni che a partire dalla loro autonomia intrecciano dialoghi con altri ambiti culturali. Forse, per dirla con Carlo Ginzburg, storico delle culture subalterne, quella della fantascienza è una “micro-storia”, importante perché fornisce un punto di vista differente da quelli dominanti. Ma forse, da molto tempo, sono culture e letterature minori come la SF, come dice Rosi Braidotti (e sul suo recente Il postumano dovremo tornare), a essere particolarmente preziose.
Quei pregiudizi non sembrano del tutto superati in Italia. Se i richiami a invarianti astoriche sono (speriamo) residuali, troppo spesso si trovano, in termini liquidatori, generalizzazioni e semplificazioni estetiche (sull'invenzione linguistica, sui protocolli di fruizione, sulla “commercialità” anche di classici troppo sospetti) o politiche (che vedono ovunque forme di manipolazione) – la negazione dell’idea stessa di una specificità dei generi, della loro storia e del loro studio, che rivela e talora rivendica il rifiuto di una posizione partecipante.
Questo numero di Anarres, senza volerlo, è diventato qualcosa di molto simile a un volume a tema, unificato dall’attenzione verso dialoghi letterari e culturali, interazioni tra testi, fasi storiche, tradizioni nazionali.
Brian Attebery ci offre, in un intervento solo apparentemente informale, uno dei più importanti contributi teorici degli ultimi anni. Riprendendo dalla biologia evolutiva il modello dei mitocondri, Attebery presenta la SF, e in particolare quella delle donne, come un “book club”, libri che cooperano scambiando motivi, concetti, omaggi, e che si rendono possibili a vicenda, le revisioni successive anche modi per dare nuova vita alla memoria di testi e scrittrici (e scrittori) precedenti. E i book club di cui ci parla sono molti, al plurale, da quello di mutuo sostegno e lettura degli Inkling fino alle reti testuali di autrici donne in un dialogo che riconosce e sottolinea l’esistenza della tradizione (ignorare l’uno significa cancellare l’altra), reti che coinvolgono Le Guin, Tiptree, Fowler, Atwood, Russ, Haraway e tantissime altre, fino alla scena odierna – e indietro fino a Virgilio, in una collaborativa "euforia dell'influenza" che è il contrario delle ansie e angosce dell'individualismo agonistico di una canonicità tutta macho.
Ovviamente, è un dialogo collettivo e transnazionale quello intrapreso con Le Guin da chi ha partecipato al forum a lei dedicato, con ospiti prestigiosi per cui rimandiamo alla presentazione.
Nel saggio di Roberta Mori, giovane studiosa dal rigore esemplare, si legge il rapporto di Primo Levi con la critica italiana contemporanea, rivelatore sia di inattese consonanze sia di tanti preconcetti. Allora potremmo provare a estendere il discorso del book club: davanti al dialogo sovente negato, la SF di Levi ne instaura uno con gli autori che leggeva (dagli amici Vacca e Calvino a Brown, Clarke, Huxley, a italiani come Domenico Garelli, o al collega chimico Sandro Sandrelli che ospita un suo racconto su Interplanet, e che avrebbe tradotto anche Tiptree), ed è tutto da esplorare quello con la fantascienza degli autori di origine ebraica, a partire da Sheckley e Vonnegut – un dialogo che continua negli omaggi contemporanei, da C.C. Finlay a David Mitchell e Lavie Tidhar, e anche Le Guin
Anche quello tracciato da Alessandro Fambrini per Franz Fühmann, poco tradotto ma importante voce anche fantascientifica nella cultura del dissenso della Germania Est, è un dialogo possibile con figure inglesi e americane come Pohl & Kornbluth e Naomi Mitchison; una ricerca in rete ne rivela la partecipazione a una rete intertestuale che abbraccia altri dissenzienti vicini alla SF come Christa Wolf, Stefan Heym e Günter Kunert, o come Johanna e Günter Braun che sono fra i suoi modelli, e il critico Franz Rottensteiner che in Austria si occupa di lui, nell’immediato e in anni seguenti, sulla sua rivista.
Il dialogo è letteralmente la forma più volte scelta da Riccardo Valla, in collaborazione con Antonino Fazio, per parlare dell’intrico concettuale costituito da scienza, magia, religione, fantascienza, fantasy – sollevando dubbi, interrogando testi, senza conclusioni definitive: un buon esempio di metodo scientifico. Questo è probabilmente l’ultimo inedito di un rimpianto pioniere della critica italiana, leguiniano insigne e figura centrale nella scena del fantastico, anche nella promozione di nuove voci.
Scrivendo su Tolkien, il mio articolo prova a ipotizzare una visione più aperta, giustificata dai suoi riferimenti teorici alla forma intrinsecamente dialogica della narrazione folklorica, leggendo apertura e incompiutezza come intrinseche alle sue affabulazioni. Su questa strada dialogica ha scelto di incamminarsi almeno una parte (non casualmente, composta soprattutto di autrici) della fantasy statunitense d’oggi.
A loro volta, le recensioni riguardano libri che si sono occupati, in modo diverso, di fantastico e fantascienza tracciandone linguaggi, percorsi collettivi (dal femminismo all’icona marziana al rapporto con la cultura scientifica) o individuali (ancora Levi, su cui auspichiamo l’interesse prosegua), con un dovuto omaggio all’opera fondativa di Carlo Pagetti; e, in qualche caso, ripercorrendo gli usi ideologici delle narrazioni non mimetiche.
Negli ultimi anni, altri volumi sono stati altrettanto rispettosi, dalla carrellata storica di La fantascienza nella letteratura araba di Ada Barbaro (Carocci 2013); a quella tematica su animal studies e fantastico latinoamericano in Raccontare gli animali di Emanuela Jossa (Le Lettere 2012); alla presenza (mitocondriale?) di classici inglesi come Coleridge e Defoe – presenze fra le tante, tutte meritevoli di future ricerche – in Ballard in Oltre la fantascienza: Paradigmi e intertestualità nella narrativa di J.G. Ballard di Valentina Polcini (Aracne 2013); o la recente, pionieristica esplorazione post-coloniale di Other Worlds and the Narrative Construction of Otherness a cura di Esterino Adami, Francesca Bellino e Alessandro Mengozzi (Mimesis 2017). Insieme agli studi su cinema e televisione, nei migliori tra i quali è forte il lascito di Franco La Polla, oltre ai fumetti ora il mondo dei giochi, troppo spesso oggetto di pregiudizi, sta diventando soggetto di seria analisi. Anche ai media non scritti speriamo di rivolgerci in futuro.
Insieme alle nuove presenze nel comitato scientifico, colgo l’occasione per rivolgere un ringraziamento alle traduttrici che in tutti questi numeri hanno prestato la loro opera per Anarres: anche il loro entusiasmo e la loro competenza rendono possibile una rivista dal profilo sempre più internazionale.
2018
di Salvatore Proietti
di Brian Attebery
Precedenti all'organismo di cui sono parte, e allo stesso tempo mantenendo la loro autonomia di azione, i mitocondri offrono un utile modello per l'intertestualità della SF/F, e specialmente di quella delle donne. Il dialogo fra testi, e tra chi li scrive e legge, può essere riconosciuto e valorizzato al meglio soltanto se si consente alle comunità sorte dalla pratica della scrittura e della lettura di compiere il suo ruolo. La cancellazione della SF delle donne è funzione della cancellazione di questi sforzi collettivi, azioni che spesso vanno oltre nozioni autoritarie del controllo autoriale; in effetti, alla bloomiana "angoscia dell'influenza", tutta al maschile, si sostituisce un'"euforia dell'influenza" che, frutto della scrittura delle donne, consente una permanenza anche agli autori maschi omaggiati e riscritti.
di Salvatore Proietti
di Raffaella Baccolini
di Eleonora Federici
di David Ketterer
di Joseph McElroy
di Tom Moylan
di Carlo Pagetti
di Salvatore Proietti
di Roberta Mori
L'articolo analizza la ricezione critica italiana della fantascienza di Primo Levi, dalla pubblicazione di Storie naturali (1966) alla seconda edizione di Vizio di forma (1987).
di Alessandro Fambrini
L'articolo discute l'antologia di racconti fantascientifici Saiäns-Fiktschen, pubblicata nel 1981 da Franz Fühmann, figura rilevante nella letteratura del dissenso nella Germania Est. Tra scenari distopici e ricerche scientifiche dagli esiti frustranti, le storie mettono in scena un generale pessimismo rispetto alla capacità umana di evolvere verso forme individuali e sociali migliori attraverso le ideologie del suo tempo, in opposizione al forzato ottimismo ufficiale. Allo stesso tempo omaggio e parodia, la sua fantascienza fonde speculazione e scrittura saldando insieme conoscenze scientifiche e logiche economico-politiche. Nella programmatica metafora della stella marina, testi di Pohl & Kornbluth e Naomi Mitchison, scritti in altri contesti storici, offrono risonanze affini, e di maggiore speranza.
di Riccardo Valla e Antonino Fazio
In forma di dialogo critico, l'articolo è un'esplorazione del rapporto instaurato da fantascienza e fantasy con i concetti di scienza e magia. Storicamente mutevoli, e legati anche alla specifica modalità retorica della loro presentazione, questi concetti restano sfumati; nondimeno, la scienza (anche immaginaria) si distingue dalla metafisica per il rigore del metodo di indagine del mondo possibile. In questo senso, l'attribuzione di un testo a un genere o all'altro può condurre a risultati contro-intuitivi: esempi sono opere di Peter F. Hamilton e Ted Chiang.
di Salvatore Proietti
L'articolo analizza Unfinished Tales come paradigma di lettura per la testualità di Tolkien, legata non tanto alla stabilità autoritaria del mito, quanto alla pluralità dialogica della performance folklorica – un riferimento frequente negli scritti critici dell'autore . L'ipotesi è che, tra mito e romanzesco, Tolkien cerchi un punto di incontro in una scrittura che sfumi nella narrazione orale. Esempi sono tratti anche dal Silmarillion e da opere dalla struttura apparentemente più tradizionale, come The Hobbit e The Lord of the Rings. Alcune recenti opere fantasy (Le Guin, Samatar, Monette) consentono di ritenere che l'instabilità del racconto e della pratica orale continui a essere un'ispirazione per il genere.
di Salvatore Proietti
di Salvatore Proietti
di Salvatore Proietti
di Giovanni De Matteo
di Daniela Guardamagna
di Antonino Fazio
di Antonino Fazio