Giovanni Maniscalco Basile, slavista, ha insegnato presso l'Universita' degli Studi di Roma Tre, e ha pubblicato diversi studi su utopia e distopia. Ha curato l'edizione italiana di La stella rossa di Aleksandr Bogdanov (Palermo: Sellerio, 1989) e, con Darko Suvin, il volume Nuovissime mappe dell'inferno: Distopia oggi (Roma: Monolite, 2004).
Nel volume Defined by a Hollow, Darko Suvin traccia il corso di una parabola che da Evgenij Zamjatin e dal suo Stato Unico va fino al nostro mondo, dominato da istituzioni bancarie globali che perseguono un profitto finanziario e che hanno gli Stati come poliziotti-narcotizzatori delle "cellule" umane di un nuovo colossale Leviatano.
Si tratta di un'ipotesi originale e di grande interesse. La storia del nuovo Leviatano, secondo Suvin, parte da Noi di Zamjatin, mettendo in dubbio l'interpretazione classica del romanzo distopico dello scrittore come una critica della Rivoluzione di Ottobre, che in pochi anni si trasforma in una "Chiesa", permeata di filisteimo e stretta nella morsa di un'entropia mortale.
I saggi contenuti nel volume fanno sorgere una domanda: il Leviatano di cui parla Suvin è davvero un nuovo Leviatano?
In verità, il mostro evocato da Suvin ha una preistoria.
Nel 1908, Aleksandr Aleksandrovic Bogdanov (A.A. Malinovskij) scrive un romanzo di un genere nuovo per la Russia zarista: La stella rossa. L'opera, scritta poco dopo la rivoluzione fallita del 1905, racconta la storia del viaggio di un rivoluzionario russo su Marte, appunto la Stella Rossa. Marte è comunista da oltre cinque secoli e il protagonista viene scelto da un inviato "marziano" in incognito per il viaggio interplantetario, nella speranza che egli possa diventare un ambasciatore di collegamento fra i due mondi. Su Marte ogni potere politico è stato sostanzialmente abolito e le "autorità" si limitano ad amministrare delle conquiste ormai immutabili. Contro ogni attesa, il protagonista – un intellettuale borghese illuminato e bolscevico della prima ora – non riesce ad adattarsi alla nuova situazione e alla previsione lucida e terribile che uno dei 'marziani' formula, sul destino del comunismo sulla Terra, un comunismo in un solo paese, barbaro e bestiale, stretto solo dalla necessità di difesa contro i numerosi nemici esterni. La pazzia del protagonista è il culmine della parabola individuale del rivoluzionario posto davanti alle conseguenze della Rivoluzione.
Il punto di arrivo della parabola è forse la Feeričeskaja Komedija La cimice di Vladimir Majakovskij (1928).
Dopo la Rivoluzione, i rivoluzionari, fra i quali il protagonista della commedia-tragedia Prisypkin, si abbandonano a ogni sorta di eccessi, ebbri di libertà e di antico desiderio dei beni borghesi un tempo loro negati. Durante una festa sfrenata durante la quale il pavimento della sala sprofonda sotto il peso degli invitati, Prisypkin cade giù per alcuni piani e viene inglobato in un blocco di neve che diventa presto ghiaccio.
Recuperato alcuni decenni dopo e risuscitato, Prisypkin si ritrova in un mondo comunista in cui parole come amore, dolore, infelicità, suicidio hanno perso ogni significato e che persino le persone che erano vissute prima della Rivoluzione comunista hanno dimenticato. Alla fine della storia, Prisypkin accetta di essere chiuso nella gabbia di uno zoo con la sola compagnia di una cimice: unico essere vivo e vero rimasto sulla Terra. Nel mondo della resurrezione di Prisypkin, infatti, regna l'oblio del passato e del suo "Sacro" individuale (cf. P. Brook) e regna un sacro collettivo in cui, per dirla con Rozanov, la libertà è "Caos vuoto", assenza di ogni ordine, vuotezza di valori.
Ma viene da chiedersi: qual è il valore negativo che regna nei mondi di Zamjatin e di Majakovskij? Qual è il Leviatano? Gli anni '20 in Russia sono sono pieni di un grande entusiasmo, ma anche di una grande paura della Rivoluzione e dei suoi effetti su chi l'aveva voluta e, infine, realizzata: una grande paura per l'irrompere delle masse nella politica: è la ragione della pazzia del protagonista di La stella rossa e della scelta di isolamento del protagonista de La cimice: le masse che irrompono sul terreno della politica dopo la Rivoluzione non sono "Noi" ma un gregge, e gli intellettuali come Leonid non hanno posto né voce in un mondo dominato da 'loro'. Nel mondo delle Masse non c'è un vero Nemico, nessuno cui opporsi con una "Penultima Rivoluzione".
Dopo la conquista romana delle poleis greche e l'espandersi dell Impero fino ai confini della Terra Abitata, la filosofia è costretta a rivedere i parametri di valore dichiarati da Pericle nella sua famosa orazione in lode dei caduti di Maratona riportata da Tucidide.
Il civis romanus è cittadino del mondo, e il cosmopolites è privo dei diritti e dei poteri che ne facevano un signore della sua città.
Questo dunque è il Nuovo Leviatano. La corsa dello Scita di Zamjatin è arrestata e il Grande Inquisitore non ha bisogno di arrestare Gesù tornato sulla Terra per ripristinare la "libertà" che il suo Vangelo aveva annunziato: alla fine delle fini, la falsa felicità garantita dal nuovo ordine espellerà spontaneamente, come un corpo estraneo, il nuovo Vangelo di libertà.
Così, il Nuovo Leviatano di Suvin è dunque, in realtà, identico al Vecchio Leviatano di Zamjatin. Quest'ultimo, però, assume ora la sostanza di una profezia, come profezia era il Socialismo in Un Solo Paese di Bogdanov. Nella prospettiva di Suvin, Noi appare non solo come una distopia che rivela una profonda analisi sociologica e politica, ma soprattutto come un'analisi di parte: la parte di chi, da Wells a Orwell, vede un mondo dominato dalla tecnologia e non dalla scienza, dalla finanza globale e non dalla produzione di beni della vita. Un mondo in cui il potere politico è un inganno necessario alla "felicità" disneyficata e artificialmente diretta verso valori inessenziali.
In un magnifico racconto degli anni '50, William Tenn racconta la storia di un dittatore mediatico, Garomma, che sta per ottenere il "controllo totale" del gregge mondiale che egli governa e che si abbandona a un irresistibile orgia di adorazione al passaggio del Servo di Tutti sulla via della cerimonia della sua "incoronazione" perpetua. Ma Garomma è a sua volta controllato "ipnoticamente" dal suo aiutante, Moddo. Questi, a sua volta, è controllato dal suo aiutante, Loob. Questi, a sua volta ancora, è controllato dal suo servo Sidothi. Ma quest'ultimo è preda, come tutto il gregge, della passione isterica per Garomma, come tutte le altre "pecore del gregge".
Così, il cerchio si chiude e il "controllo totale" è un controllo sostanzialmente senza controllore.
Abbiamo un esempio sotto gli occhi: un (ex) primo ministro che possiede una decina di ville dove abita per pochi giorni all'anno, che ha bisogno di una ventina di giovani donne per scegliere chi infilare nel suo letto per una notte, ogni notte.
Così, il paradosso di O'Brien risulta falso:
Power is not a means, it is an end. One does not establish a dictatorship in order to safeguard a revolution; one makes the revolution in order to establish the dictatorship. The object of persecution is persecution. The object of torture is torture. The object of power is power. (Orwell 227)
Il Potere non ha bisogno di emanare ordini orrendi per essere sicuro dell'obbedienza dei sudditi: l'obbedienza è implicita nell'incedere cieco della Massa. Chi governa le grandi istituzioni finanziarie del Nuovo Leviatano, alla fine delle fini, è anch'egli parte della Massa ed è schiavo degli stessi disvalori che ha imposto. Il controllo "totale" cui aspira è indirizzato verso gli stessi valori vuoti che egli instilla sui suoi sudditi "controllati" e, alla fine, il suo "controllo totale" controlla anche lui. Il "Principio-Speranza" è definitivamente sconfitto.
Suvin, però, non abbandona il "Principio-Speranza", perché nel sottotitolo del saggio su Zamjatin si chiede: “Il collettivismo deve per forza essere contro la gente?” Il "Vuoto" (hollow) del titolo deve essere una "porta allarmata" (1 sgg.). E, uomo avvisato è mezzo salvato! Così, nella visione di Suvin, il Prinzip-Hoffnung non è completamente abbandonato, né definitivamente sconfitto.
Forse, diversamente da come conclude Suvin nell'introduzione, il Prinzip-Hoffnung sta proprio nella distopia "femminile" di cui si parla in alcuni saggi nel volume Nuovissime mappe dell'inferno, nella quale si vede una redenzione nei valori femminili della felicità, che obbedisce alle leggi di una "libertà" naturale, fondati sulle pulsioni fondamentali dell'uomo/donna e del loro destino. Non una conservazione vuota e cieca del potere, alla O'Brien, ma l'evoluzione naturale di una società capace di armonia attorno ai valori della creazione di cui la donna è custode (pulsione creativa che compare come vuota sessualità nella distopia "maschile," e che è "giustamente" repressa o imbrigliata dallo Stato, perché essa è comunque antagonista dell'immobilità dello Stato Unico) e della negazione di un oppressione che priva tutti (il nuovo “Noi”) della libertà di scegliere la libertà della diversità, traendo la forza necessaria, come Anteo, dal contatto con la Madre-Terra, o con la Madre tout court.
Al di là della facile "mitologia", una ipotesi di sviluppo in questo senso esiste già: un'ipotesi che esige una radicale rivisitazione dei (falsi) valori di cui sono portatori metaforici i moderni Garomma e i loro servi-padroni. Perché possedere 2 miliardi di dollari è meglio che possederne uno o nessuno? Perché il PIL di un paese dovrebbe necessariamente crescere? L'ipotesi comporta che si possa, tutti insieme, non da "comunisti" ma da componenti di una comunità grande a piacere, potare l'albero dei desideri senza rinunziare alla felicità. Si tratta di una teoria sociale ed economica nuova e assai eretica: una teoria secondo la quale il PIL potrebbe utilmente diminuire senza che si incorra negli effetti nefasti della recessione e si possa evitare così una catastrofe economica e sociale di cui abbiamo appena visto le prime avvisaglie. È la scommessa che propone Serge Latouche con la sua teoria della "decrescita" che, insieme all'impiego massiccio delle energie rinnovabili, imporrà in un prossimo futuro una brutale potatura di desideri futili e del tenore di vita che i paesi del Primo Mondo ritengono irrinunciabile.
Diciamo che Marx e Keynes hanno scritto quello che hanno potuto, ai loro tempi. Forse ora sarebbe il caso di andare avanti. In fondo, l'amore per il potere – che porta a tutte le sciagure che da molti decenni le distopie profetizzano – ha nel Leviatano di Hobbes il suo "unico" rimedio possibile.
Ma si deve per forza rincorrere Moby Dick per tutti i mari del mondo? Non si potrebbe invece navigare a vela pescando sardine e godendosi le albe e i tramonti?
È opinione diffusa che la cecità dei governanti e delle masse di paesi ricchi, e l'ira della Terra (pensiamo a Fukushima!) condurranno a una catastrofe globale causata dagli sprechi, dalla scarsezza delle risorse energetiche, dalla rabbia dei popoli che vivono con un millesimo di ciò che hanno i paesi ricchi e della quale le recenti rivolte nell'Africa del Nord e le correnti migratorie di disperati e la guerra tra poveri di Rosarno sono un segno inequivocabile. Siamo quindi in attesa di una nuova Rivoluzione: la Rivoluzione, infatti, è sempre un evento catastrofico generato dalla impossibilità di condurre un sistema politico a un'evoluzione necessaria.
Naturalmente non sappiamo quale società sarà il prodotto di questa catastrofe. Ci sono dei segni, però, che la speranza descritta nel "terzo imperativo" del penultimo saggio di Suvin (484) non sia del tutto vana.
Oppure una serie di microcatastrofi (Fukushima e le ondate migratorie di Lampedusa sono solo due di queste) potrebbe sconfiggere almeno, in parte e lentamente, le forze che costringono il mondo a una letale immobilità e mostrare una via più umana all'oppressione dell'uomo sull'uomo.
In fondo, negli anni '80 dell'800, qualcuno predisse che per la fine del secolo le strade di Londra sarebbero state coperte da uno strato spesso circa sei metri di sterco disseccato di cavallo. Poi, qualcuno invece trovò un metodo per pulire le strade.
Bogdanov, Aleksandr. La stella rossa, a cura di Giovanni Maniscalco Basile. Palermo: Sellerio, 1989.
Brook, Peter. L'immaginazione melodrammatica. Parma: Pratiche, 1985.
Latouche, Serge. La scommessa della decrescita. Milano: Feltrinelli, 2009.
Majakovskij, Vladimir. La cimice. Milano: Feltrinelli 1967.
Orwell, George. Nineteen Eighty-Four. Harmondsworth: Penguin, 1984.
Rozanov, Vasilij V. L’apocalisse del nostro tempo. Milano: Adelphi, 1979.
Suvin, Darko. Defined by a Hollow: Essays on Utopia, Science Fiction and Political Epistemology. Oxford: Peter Lang, 2011.
---, e Giovanni Maniscalco Basile, a cura di. Nuovissime mappe dell’inferno. Roma: Monolite, 2004.
Tenn, William. Il problema della servitù. In L’ombra del 2000. Milano: Mondadori 1965, 333-372.Inverno 2013/2014
di Salvatore Proietti
di David Ketterer
Nella sovrapposizione fra diversi modi (apocalittico, mimetico, ermetico) e generi letterari, la categoria dello "slipstream" è complessa e articolata in un'enorme quantità di combinazioni possibili. Nello slipstream l'elemento fantascientifico è presente ma non dominante, anche se può contribuire a determinare le possibili interpretazioni del testo. Il saggio fornisce poi una lettura di due casi: Pattern Recognition di William Gibson, che include un velato indizio di un mondo alternativo, e State of Wonder di Ann Patchett, con la sua esitazione fra realismo (allucinazione) e fantastico (una visione religiosa).
di Salvatore Proietti
Attraverso un'analisi diacronica, il saggio prende in considerazione l'opera di Philip K. Dick come intertesto, nella sua rete di relazione con i discorsi, le mitologie e i presupposti della controcultura degli anni Sessanta, interpretando il suo portato narrativo, in termini bachtiniani, come meditazione dialogica su di essa. Il radicamento di Dick nella corrente dei movimenti oppositivi statunitensi del suo tempo si costruisce attraverso una science fiction "anti-essenzialista" in cui l'etica ha il primato su ogni metafisica e il misticismo è uno strumento tra gli altri per interpretare l'umano. Dick, comunque, presenta le tracce di quel mondo ideologico a partire da una diversa "struttura del sentire", un punto di vista presentato anche in termini di classe che ne rifiuta alcuni degli aspetti dominanti, legati a concetti di individualismo radicale.
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La parabola umana di John Parsons racchiude almeno tre vite: lo scienziato fondatore del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena; l'appassionato che vive da protagonista la nascita della fantascienza negli anni '40 come amico di molti autori; lo sciamano seguace del mago Aleister Crowley. Tre visioni del mondo che Parsons non ebbe alcun problema a conciliare, nonostante l'apparente contraddittorietà della terza. L'ipotesi di lavoro dell'articolo tende a leggere la biografia di Parsons come una fonte di luce che illumina alcune ambiguità di una parte significativa della fantascienza americana.
di Antonino Fazio
La fantascienza presenta fin dalle sue origini una duplice anima: quella di letteratura popolare e quella di strumento concettual-speculativo, teso ad affrontare problematiche di vasto respiro. A partire da questa constatazione storica, l’articolo esplora i rapporti della fantascienza con il mainstream della teoria postmoderna, rimettendo in discussione lo schema tradizionale di una distinzione tra letteratura alta e bassa e rivedendo lo statuto del “meta-genere” della SF sulla base di uno spettro critico che dalle riflessioni di Walter Benjamin risale fino a quelle di Wu Ming 1 a proposito del New Italian Epic.
di Paolo Bertetti
Il saggio passa in rassegna, sulla base di ricerche d'archivio testimoniate dalla filmografia, la presenza della fantascienza nel cinema muto italiano. Purtroppo in parte perduta e normalmente trascurata, questa protofantascienza comprende anche produzioni di grande impegno. Dai viaggi fantastici alle avventure e disavventure di scienziati, da mostri e automi alla guerra aerea, dalle farse comiche al consistente contributo del cinema futurista, emerge un corpus consapevole il cui sviluppo riprende solo a partire dalla fine anni 50.
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La mitologia nordica ha sempre svolto un ruolo di primo piano nella creazione degli universi letterari della fantasy. Il XXI secolo vede l’affermarsi di un uso per molti versi innovativo di questa tradizione narrativa e religiosa, non più legato a pretese di correttezza filologica e a nostalgie di ritorno al passato: gli dèi del Nord si mescolano agli esseri umani, si nutrono della loro immaginazione e della loro fede, partecipano alla loro storia. L’articolo prende in esame in particolare tre romanzi: American Gods dell’inglese Neil Gaiman, Gudenes Fall del norvegese Cornelius Jakhelln e Norse Code dell’americano Greg van Eekhout. Pur condividendo la presentazione di una interazione tra mondi, le differenti strategie di rielaborazione del mito e di costruzione dell’universo finzionale contribuiscono a delineare diverse interpretazioni del mondo attuale.
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Furio Jesi. L’accusa del sangue: La macchina mitologica antisemita, intr. di David Bidussa. Torino: Bollati Boringhieri, 2007. pp. 62, € 8,00
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Paolo Bertetti. Conan il mito. Pisa: ETS, 2011. € 15
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Riccardo Gramantieri. Metafisica dell’evoluzione in A. E. van Vogt. Bologna: Elara, 2011. pp. 426, € 35,00
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