Se è vero che mal comune mezzo gaudio, allora, o italiani amanti della fantascienza, gioite a metà! I cugini francesi non navigano in acque migliori delle nostre.
Sbarazzatevi quindi subito del luogo comune che vuole che “all’estero” tutto vada sempre meglio che in Italia, e che la Francia in particolare sia una specie di paradiso per gli autori di fantascienza. Lo dimostra il fatto che i nostri stessi autori ormai Oltralpe ci mettono ben poco piede. Un fenomeno che Valerio Evangelisti (assente alle ultime edizioni degli Utopiales, uno dei maggiori festival europei, se non forse il maggiore in assoluto), intervistato all’Italcon del 2006, spiegava così: “Alcuni, come me o come Masali, si sono dedicati anche ad altre cose, si sono allontanati dal campo della fantascienza stretta, e dunque anche le uscite in Francia si sono rarefatte. Poi va considerato che il mercato francese è continuamente in trasformazione, e vi prevale attualmente la fantasy, come genere fantastico. A quel punto è chiaro che già hanno difficoltà gli autori locali, figurarsi quelli stranieri. Coloro che riuscivano in qualche modo a vivere o quasi di fantascienza, oggi hanno molte difficoltà in questo senso. Ecco perché certi autori di primo piano si volgono alla fantasy dopo tantissimi anni passati nella fantascienza, oppure si dedicano ad altro. Adesso sono usciti dei romanzi francesi di autori di fantascienza in Italia, ma per esempio l’ultimo romanzo di Ayerdhal è un noir. E se Wagner è ancora fantascienza, Bordage invece fa delle opere o storiche, o storico-filosofiche”.
“La fantasy vende, la fantascienza no”. È un ritornello che si sente ripetere un po’ da tutti. Qualche esempio? Michel Pagel, scrittore: “La fantasy funziona abbastanza bene, anzi le grandi saghe fantasy diventano dei best seller in Francia esattamente come negli Stati Uniti, mentre la fantascienza vende molto meno, per cui gli editori tendono a privilegiare la fantasy, perché vogliono fare soldi. Questo è comprensibile, ma chi ha voglia di scrivere fantascienza ha difficoltà a farsi strada, e soprattutto ha difficoltà a vendere”.
Markus Leicht, libraio, editore, scrittore, webmaster e chi più ne ha più ne metta – “bevitore di caffé”, aggiunge lui –, è più lapidario: “La fantasy vende decisamente di più. Penso che si debbano almeno moltiplicare per tre o per quattro le cifre della fantascienza”.
Ma c’è anche chi la pensa diversamente. André-François Ruaud è, tra l’altro, il fondatore di una casa editrice, nuova ma già più che rispettabile e ampiamente rispettata. Per lui: “La fantasy non va proprio così bene. Per una casa editrice piccola come i Moutons Electriques, non è affatto una panacea, perché il mercato in Francia è occupato principalmente da Bragelonne, e al di fuori di Bragelonne è difficile vendere libri fantasy. Perfino Calmann Lévy non vende mica tanto bene. Vende comunque con dei grossi numeri, penso fra le 3mila e le 5mila copie. Ma solo perché hanno dietro di sé il grosso macchinario di Hachette. La fantascienza invece sta sollevando un po’ la testa. La space opera ha il vento in poppa, non è certo un segreto, anche Bragelonne ha una collana di space opera, e questo vuol dire che a livello commerciale c’è un risveglio”.
Una posizione contro corrente? Solo un punto di vista diverso. Perché sul “risveglio” della fantascienza in Francia, nonostante l’apparente pessimismo, in molti si trovano d’accordo. Pagel continua ad avere una visione negativa: “Vedo sì muoversi qualcosa, ma nella direzione sbagliata. Vedo collane che chiudono, vedo vendite crollare, ma – aggiunge – questo è un aspetto comune a tutto l’ambiente editoriale”.
E questa sembra essere la chiave: l’editoria va male in generale. Lo stesso Pagel ci dà una spiegazione condivisa da molti: “Mancano i soldi, da un lato, quindi la gente compra meno libri. E poi, si legge meno, semplicemente perché un tempo quando ci si voleva distrarre si prendeva un libro, mentre oggi abbiamo un’infinità di soluzioni, abbiamo 300 canali televisivi, abbiamo il lettore DVD, abbiamo la Playstation, abbiamo un mucchio di distrazioni, e quindi, fatalmente, finiamo col leggere meno”.
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