Il principio di incertezza delle mappe psichiche lo esponeva al fallimento, ma non fu difficile individuare la posizione esatta del bersaglio sacrificandone il movimento. Poi invertì i fattori determinandone la velocità di spostamento a spese dell’informazione precedentemente acquisita e andò avanti così, procedendo per approssimazioni successive.
Quando fu ragionevolmente sicuro, si mosse. Scivolare lungo i cavi della linea dell’alimentazione esponeva a un unico limite: la velocità delle cariche nel metallo.
Gli ci vollero pochi secondi per intercettare l’obiettivo e tradursi nel sistema elettrico della motrice.
Il convoglio era un ferrovecchio uscito dalle officine della Electro-Motive Division della General Motors e risaliva come minimo alla metà del secolo precedente. Ma aveva davvero senso parlare di date in un mondo al di fuori del tempo? La locomotiva emd F3 rombava al fremito del suo motore riconvertito da 1500 cavalli e trainava il treno su rotaie scricchiolanti e consunte, un fantasma in rotta di collisione con un improbabile capolinea.
Castor tentò di prenderne subito il controllo, ma gli schermi di protezione del sistema principale erano ben congegnati. Lo avrebbero costretto a un ritardo intollerabile. Si spostò quindi su un sistema secondario, infilandosi lungo i cavi fino ai pannelli di controllo degli impianti elettrici del secondo vagone. Un baco si stava aggirando con andatura trasognata. Valutava la possibilità di tradurre in cibo il rivestimento gommato dei cavi.
Appena le mandibole della larva toccarono il metallo, Castor la folgorò e si abbandonò al richiamo della gravità, precipitando al suolo nel suo nuovo corpo, già cadavere.
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Non dovette attendere molto: per lo meno, il controllo totale ed esclusivo sul tempo interiore gli permise di ignorare le epoche che probabilmente trascorsero fino a quando l’ombra alata s’interessò a lui.
Venne giù con ali lucenti e occhi di rubino, la proboscide pronta a valutare la sua attitudine a trasformarsi in nutrimento. Il tocco accese una scintilla blu nelle lande buie della consapevolezza, dopodiché Castor guardò il mondo attraverso la prospettiva variegata concessa dai suoi nuovi occhi da mosca.
Mise alla prova le sue nuove membra. Le ali guizzarono a una frequenza che per un attimo lo lasciò confuso. Sintonizzò la linea dei pensieri sulla loro cadenza e s’involò verso i locali della motrice, nel rumore meccanico di fondo che dettava il tempo del treno.
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Era stata lì, Castor lo capì subito. I suoi organi di senso captavano le tracce della sua recente presenza: i feromoni ristagnavano nell’aria malgrado la brezza che spazzava l’abitacolo entrando da un finestrino aperto. Un rapido esame comparativo dell’attendibilità genetica gli confermò che i capelli lasciati sul sedile del macchinista erano proprio i suoi.
Adesso era sparita, abbandonando il convoglio alla sua corsa crepuscolare. Il panorama cambiava velocemente fuori dai finestrini, mutando la prospettiva mentre il treno affrontava cambi di direzione per aggirare gli occasionali ostacoli. La scena, tuttavia, non cambiava granché: ovunque restavano solo i segni della distruzione, le rovine dell’olocausto nucleare, l’irrevocabile sentenza di morte del degrado entropico.
Lei aveva avvertito la sua vicinanza e aveva tentato una via di fuga. Non era più sul treno.
Castor ne prese atto, mentre si accingeva a ripercorrere il tragitto a ritroso, per transustanziare ancora la sua essenza. Quando la scintilla scoccò, il trapasso della mosca ebbe meno risonanza che nella sua precedente incarnazione.
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