Anatolio Pomahuanca aveva tutte le ragioni per odiare i bianchi. Da cent'anni, loro avevano invaso e conquistato il suo mondo e ridotto i suoi antenati alla triste condizione di servi, o comunque cittadini di seconda categoria.
Ci sono stati, sì cambiamenti storici: guerre d' indipendenza, ribellioni e rivoluzioni; i bianchi sono però rimasti sempre coloro che governavano e decidevano tutto, in Perù come nel resto del mondo.
"Adesso viviamo in democrazia", dicevano. "Abbiamo fatto grandi progressi in materia di diritti umani e integrazione", proclamavano.
Quando sentiva ripetere quelle frasi false, Anatolio sorrideva storto. Non erano forse bianchi il presidente, i militari ed i sacerdoti? Qualcuno aveva visto, almeno una volta, un nativo occupare un incarico importante? Se fosse stato in condizioni di farlo, Anatolio avrebbe sputato per terra: tutti i bianchi erano merde.
Quello che gli impediva di farlo era il luogo dove si trovava: un cubo metallico, poco illuminato, con controlli e schermi. Era il ponte di commando di una nave spaziale in orbita. Come tutte le altre navi, apparteneva alle Nazioni Unite. La sua missione era di routine, la misura dei venti solari, ma in questo caso presentava un elemento nuovo: Anatolio Pomahuanca era il primo peruviano nello spazio.
Tutto il mondo considerava un onore il suo far parte dell' equipaggio della nave. Lui, però, non si faceva illusioni. Il suo lavoro come ingegnere di mantenimento, era uguale a quello di un impiegato in una stazione di servizio. La nave, costruita con la migliore tecnologia dei bianchi, risultava un immenso meccanismo automatico destinato a condurre un programma seguendo una sequenza precisa di istruzioni.
In realtà, tanto Anatolio quanto tutto l'equipaggio erano soltanto passeggeri. Gli strumenti per la navigazione e i comandi avrebbero comunque svolto ogni compito automaticamente.
Sbadigliò. Il suo breve turno sul ponte di commando stava per finire. Aveva svolto tutti i lavori assegnati. Controllare lo schermo, verificare il misuratore, informare sulle coordinate, tutte attività inutili.
Dovevano pur mantenerlo occupato, pensò con amarezza.
Il capitano della nave, che era anche il capo de la missione, entrò nella cabina. Sorrise ossequiosamente ad Anatolio, che rispose annuendo e, svogliato, si alzò.
- Tutto bene, Pomahuanca? - chiese il capitano in perfetto spagnolo. Anatolio odiava i bianchi in genere, e ancora di più quelli che pretendevano di guadagnarsi la sua amicizia e la sua fiducia. Era sempre facile capire le loro intenzioni, smascherare il falso rispetto che nascondeva lo scherno dei bianchi o, peggio ancora, la loro commiserazione per la sua razza.
- Tutto bene, capitano.
- Fino a questo momento, lei si è impegnato nel lavoro. È una grande opportunità per un ingegnere giovane come lei, far parte di questa missione. Molti peruviani vorrebbero occupare il suo posto.
- Si, vero?
Anatolio sapeva che i bianchi erano incapaci di capire lo sdegno che significavano quelle parole. In realtà, sapeva che i bianchi lo consideravano una razza inferiore, una specie di animale che nel passato avevano sfruttato senza pietà e che adesso dovevano trattare meglio. Ma non lo avrebbero mai considerato un loro pari.
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