Si parlava della densità di invenzioni e riferimenti che caratterizza l’opera. Probabilmente è stato proprio questo sovraccarico ad affascinare i lettori come i critici, decretando il successo del romanzo. La confidenza postmoderna con la materia trattata (narrata) non si ferma a questo. In un gioco metanarrativo esaltato all’ennesima potenza, Stross si appropria infatti delle invenzioni di alcuni suoi colleghi, dalla Singolarità Tecnologica di Vernor Vinge (comunque già diffusamente sdoganata dalla comunità scientifica) ad alcune trovate di Cory Doctorow (come la citata società agalmica, un regime di vasto benessere contrapposto all’economia della scarsità a noi familiare e strettamente imparentato con i principi dell’open source), le rimastica e manipola come se volesse metterne alla prova i modelli di base e la loro resistenza in uno stress test immaginifico, e va ancora oltre, giocando da autentico postmoderno con la figura stessa dell’autore. Se Sirhan che vuole scrivere un romanzo sulla famiglia-clade dei Macx tradisce, malgrado le diversissime impostazioni di base, più di qualche somiglianza con il lunare Katin Crawford di Nova (uno dei capolavori di Samuel R. Delany, datato 1968), Stross non si disturba nemmeno troppo per convincere il lettore che la storia che sta raccontando è una trascrizione proprio di quell’opera, che forse esiste solo come simulazione di una possibilità nel teatro cartesiano della mente di Sirhan, con nubi auto-evolventi di contenuto narrativo a riempire i vuoti tra gli appunti che fin dal suo ingresso sulla scena non ha smesso di raccogliere. E il gioco con la narrazione e con il lettore non si ferma qui. Come Manfred Macx, nerd emotivamente problematico e inconsapevolmente rivoluzionario di inizio XXI secolo, basa tutta la sua attività lavorativa sulla gratificazione personale e il ritorno del prossimo, appellandosi alla ricaduta sociale delle invenzione che sforna senza sosta giocando d’anticipo con il mercato e l’ossessione per il copyright delle multinazionali, così Charlie Stross pubblica il suo capolavoro sotto licenza Creative Commons, rendendolo come altre sue opere liberamente scaricabile dal suo sito. Un gesto coraggioso e, in questi tempi di esasperazione possessiva, perfino impopolare, che gli fa guadagnare punti-karma a tonnellate.
Singolarità: istruzioni per l’uso
La fantascienza non è un genere come gli altri. Non le è concesso il lusso di stare al passo coi tempi, perché se non cerca almeno un po’ di anticiparli allora corre il serio pericolo di essere soppiantata con più rapidità di quanto un romanzo realista impieghi a trasformarsi in un quadro d’ambiente storico. È anche per questo che Rudy Rucker, autore di perle a cavallo tra fantascienza, satira e matematica, fin dai suoi esordi accostato alla corrente cyberpunk (il suo Software, capostipite della tetralogia del *ware, uscì praticamente in contemporanea con Neuromante), ha sempre voluto parlare in riferimento alla sua fantascienza di transrealismo. Il transrealismo svetta sui limiti del realismo e si lancia in scorribande senza freno nei territori dell’immaginario, fino a raggiungere la velocità critica e abbattere la barriera dell’ordinaria quotidianità. Il transrealismo prende il lettore e lo trapianta in un contesto alieno, rendendoglielo sempre più credibile man mano che gli intesse intorno la nuova realtà, malgrado questa diventi sempre più estranea. Laddove Rucker lavora però di sottrazione, anche per addomesticare l’estro visionario del suo talento scientifico-matematico, Stross opera al contrario sovraccaricando di input il lettore: non è un caso se subito dopo la pubblicazione del romanzo (2005) su Wikipedia è comparso un indispensabile technical companion (http://en.wikibooks.org/wiki/Accelerando_Technical_Companion) ancora oggi in continuo aggiornamento. Il concetto alla base del romanzo è mutuato da Vernor Vinge: è stato questo autore di fantascienza e docente di informatica alla San Diego University, infatti, il primo a formulare in maniera compiuta l’idea della Singolarità Tecnologica, spingendo alle estreme conseguenze la legge di Moore dopo che intuizioni analoghe erano già state colte in precedenza da altri illustri pensatori con un piede nella fantascienza (tra i quali mi preme menzionare almeno Thomas Pynchon, che ne parlò senza chiamarla per nome nel suo scanzonato saggio del 1984: Is it O.K. to be a Luddite?, pubblicato sulla New York Times Book Review). La legge di Moore è una legge empirica in piedi dal 1965, quando Gordon Moore, co-fondatore di Intel, mise in rilievo in un suo articolo come la capacità di integrazione dei dispositivi elettronici su silicio raddoppiasse ogni 18-24 mesi (raddoppiando così capacità di calcolo e prestazioni a parità di area occupata). Da quarant’anni la legge di Moore, fondata esclusivamente sull’osservazione sperimentale, predice e scandisce l’evoluzione della tecnologia elettronica e, per riflesso, dell’intero sottostrato fisico dell’informatica e delle comunicazioni. Intuitivamente, si giungerà presto a un punto per cui sarà impossibile dimezzare ulteriormente le dimensioni dei transistor: già da qualche anno le dinamiche subatomiche che presiedono al loro funzionamento sconfinano nel nanomondo quantistico e gli addetti ai lavori ipotizzano che la barriera ultima sarà raggiunta nel prossimo decennio. Cosa accadrà poi? Estendendo alla scala della società umana questo ragionamento e il quesito a cui conduce, Vernor Vinge concepì l’idea di un limite ultimo per il progresso tecnologico dell’umanità: non una barriera vera e propria, ma un punto di non ritorno, una soglia critica oltre la quale il progresso avrebbe letteralmente stravolto il nostro mondo. L’articolo in cui formulò la sua ipotesi risale al 1993, l’anno successivo alla pubblicazione di Universo Incostante (testo imprescindibile per capire l’evoluzione della fantascienza nell’ultimo decennio, echeggiato anche in Accelerando), e si intitola The Coming Technological Singularity: How to Survive in the Post-Human Era (http://www-rohan.sdsu.edu/faculty/vinge/misc/singularity.html). Vinge dipinge diversi scenari alternativi per il futuro post-Singolarità della civiltà umana, prendendo le mosse dalla constatazione che tenendo l’attuale passo di avanzamento potremo arrivare prima o poi (nel giro di qualche decennio, secondo le stime più attendibili, mezzo secolo per essere prudenti) a forme di estensione o digitalizzazione delle facoltà cognitive umane: a seconda del caso, sarà possibile parlare di amplificazione dell’intelligenza ovvero di intelligenze artificiali.
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