Ad ogni modo, se in Temple la proposta (che stavolta trasformerebbe il triangolo da quadrilatero in “triangolo a due lati”, “bilatero”) viene scartata, è – va notato – per scrupoli sentimentali di Rob più che morali. La storia propende sempre più verso una china tragica: Lena pativa già una propensione al suicidio; un mattino accade un incidente che coinvolge entrambe le ragazze. Una delle due viene ritrovata morta: il sospetto è che si sia uccisa; l’altra ha parzialmente perso la memoria. Nuovo duro colpo, in più un problema angosciante per Rob: la sopravvissuta è la “sua” Lena o è Dot? Rob non riuscirebbe ad accettare una sua unione con la superstite restando nel dubbio circa sua identità o, peggio, sapendo che non è Lena. A questo punto Harvey scopre un documento da cui si apprende un dettaglio fondamentale: le due ragazze non erano perfettamente identiche. Nella duplicazione, un arnese nella campana del “riproduttore” deve aver lasciato sul collo di Dot due minuscole cicatrici. Harvey e Rob si affrettano a esaminare la pelle della superstite: non c’è alcuna cicatrice, quindi è Lena; Rob e lei potranno quindi ricongiungersi e vivere felici e contenti... Ma poco più tardi Harvey, indagando ancora, recupera una vecchia lettera. C’è scritto che durante un viaggio Dot si era sottoposta a un intervento di chirurgia plastica, eliminando ogni traccia delle antiestetiche cicatrici. Dilemma: dirlo o non dirlo ai due? Da vecchio pragmatista e in armonia con ogni sua precedente iniziativa e con la sua filosofia di vita, il dottor Harvey deciderà di tacere. Ecco il paragrafo finale del romanzo, ultima narrazione del dottor Harvey: “Dieci anni di felicità comune separavano ancora Rob e Lena dalla disgrazia ferroviaria in cui trovarono la morte con le loro due bambine. E mi è di consolazione pensare che sono stato io a dar loro quei dieci anni felici, proprio nei pochi secondi in cui, con la vecchia lettera fra le mani, fui il padrone del loro destino”.
Su Temple ho reperito scarsissime notizie e neanche una foto. In Italia nel 1982 fu pubblicato dalla Libra editrice un altro suo romanzo, Le lune perdute (1968), una space opera, come pare sia stata la massima parte della sua produzione. Una manciata di racconti è stata edita in parte su Nova Sf* (Libra), in parte su edizioni varie. Di questa produzione breve mi è capitato di leggere solo due titoli, sempre di ambientazione spaziale, in verità decisamente banali e lontanissimi dall’atmosfera del Triangolo. A proposito di questo romanzo, nella nota editoriale premessa al testo si accennava a una imminente trasposizione cinematografica: il film – stesso titolo del romanzo – fu girato intorno al 1953 dalla Hammer, regia di Terence Fisher. Opera interessante, a quanto riferitomi dall’esperto Vanni Mongini, ma mai distribuita in Italia. Temple aveva scritto il romanzo negli anni 1940-45, in pieno conflitto, mentre era impegnato nelle campagne d’Africa, di Sicilia e d’Italia. Il manoscritto andò perso due volte ma venne sempre fortunosamente ritrovato. Dopo aver pubblicato un altro volume, The Dangerous Edge, si dedicò a tempo pieno all’attività di scrittore. (Notizie riprese dall’antologia di AA.VV. Il meglio della fantascienza a cura di Franco Enna, Vol. I - Longanesi, 1973, contenente il suo racconto Il pianeta sconosciuto). Ho motivo di ritenere che Il triangolo quadrilatero resti un unicum nella produzione di William F. Temple e sia anche stato un testo insolito in una collana di fantascienza: soprattutto cinquantaquattro anni fa.
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