What the past would look like if the future had happened sooner (come sarebbe stato il passato se il futuro fosse accaduto prima) è la domanda che è alla base della narrativa cosiddetta Steampunk, ossia quel particolare filone della fantascienza ambientato in un alternativo ‘800, in cui all’energia elettrica è stata sostituita da quella ricavata dal vapore (steam) e i computer sono costruiti con componenti meccanici. Il prototipo di questo genere di storie è il romanzo La macchina della realtà (The Difference Engine, 1992) di William Gibson e Bruce Sterling, in cui s’immaginava che nell’Ottocento, in Inghilterra, si fosse diffuso non solo l’uso dei computer, ma anche qualcosa di simile a Internet, in base al lavoro di Charles Babbage e Lady Lovelace. Ma anche la trilogia di racconti intitolata proprio Steampunk (The Steampunk Trilogy, 1995) di Paul Di Filippo è un punto di riferimento fondamentale per un tipo di narrativa nata dopo il cyberpunk, ma di cui ha mutuato l’elemento tecnologico, virandolo in un’atmosfera vittoriana. Spesso i plot di queste storie sono permeati da elementi relativi a società segrete, teorie del complotto, occultismo e in alcuni esempi perfino a quelli di stampo fantasy.
Su questo genere narrativo si basa anche la graphic novel Rubor Maximus #01, primo volume di una saga scritta e disegnata da Claudio Franchino ed edita dalla Cagliostro E-Press.
La trama è in linea con il più classico Steampunk e la storia si snoda su più piani temporali: 1912, 1847, 1751, 1855. La Congiura dei Rosamunda percorre la storia. Il dualismo fratricida tra Galvano e Mesmer – due esseri dotati di poteri straordinari - si consuma attraverso i secoli in cui si intrecciano mistici intrighi che ruotano attorno alla ricerca e al possesso del Rubor Maximus. Nel 1912 il Dottor Jung studia uno strano paziente. Nel 1847 una spedizione segreta ritrova una misteriosa sfera meccanica al polo artico. Nel 1751, a Chambery, si aggira un oscuro figlio di Atlandtide. Nel 1855 si combatte la sanguinosa Guerra di Crimea e i cieli sono solcati da potenti macchine da guerra volanti inglesi e prussiane che con i loro cannoni possono cambiare il destino del mondo.
La carne che Franchino mette a cuocere sembra troppa, ma la cottura non sfugge all’occhio dell’autore. Fuori dalla metafora culinaria, Franchino dosa sapientemente la storia, dipanandosi molto bene tra le storie parallele di cui è composto l’albo, evitando lo sfilacciarsi delle stesse. Anzi, la trama e i dialoghi rimandano ad una storia più ampia che trasmette al lettore quella giusta dose di tensione. Tensione che, in parte, si scioglierà nel successivo albo, ma che d’altro canto sicuramente aumenterà.
L’incedere della storia e l’organizzazione delle vignette sembra rimandare ad una precisa grammatica cinematografica, come, ad esempio, la sequenza che apre l’albo. Lo stile dei disegni rimanda all’estetica barocca e ben si sposa al bianco e nero. Il tutto è sapientemente dosato anche dall’attenzione per i particolari che l’autore infonde nel tratteggiare scenari e personaggi.
L’albo è preceduto da un’introduzione di Gianluca Piredda e da una postfazione di Matteo Carnevale, nonché da una cospicua appendice ricca di contenuti speciali, come i disegni e le schede dei personaggi principali e articoli su personaggi e vicende storiche reali che fanno da scenario alla trama.
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