Inghiotti adesso. Vuoi dell'altra merenda, piccola? Vuoi un bicchiere d'acqua? Sarà più difficile tenerli in bocca, sarà maledettamente problematico trattenerli sotto la lingua... mentre bevi... quando avrai la bocca piena zeppa d'acqua fredda... Si sbarazzò inorridita di quella visione e riprese il cammino a fianco di Bronco. Aveva le mani inumidite dalla tiepida saliva del cagnolino. La sua linguetta dardeggiava fra un dito e l'altro e le lasciava una lucente scia d'affetto, una morbida carezza d'amore. Come muco di una chiocciola. - Li hai uccisi i cacciatori? - domandò d'istinto. - Seppelliti. Li ho lasciati alle semenze. - Che li mangino vivi sotto terra? Bronco la guardò seccato, senza rallentare il passo. - Ho tirato fuori una cosa sola...

Tania tornò al suo mutismo imbronciato. Invano aveva insistito perché prendessero il cane morto e dessero lui al cancano.

- Troppo pesante - era stato il commento del fratello. - Poi voglio che appendi qualcosa di vivo. Ti ho detto, vero, dove va infilato il cancano?

Si morse il labbro.

- Lo devi piantare qui, dove la pelle è più sottile. Nella PAP-PA-GORGIA!

Bronco non avrebbe avuto alcuna pietà. Era stato lui ad infi­larsi i chiodi nella mano sinistra. Aveva ritenuto di espiare la sua colpa in quel modo mostruoso. Con il martello. A quel tempo usava ancora il martello. Sette chiodi per sette parole.

- Non... ho... potuto... salvare... i... nostri... genitori...

Le aveva scandite con grida soffocate; scolpite nella soffe­renza della sua coscienza malata. Conficcate nella carne. Il sangue era uscito a fiotti e gli era sprizzato in faccia. Cieco e paralizzato, aveva trovato la forza per domandare: - Come sono venute le mie stigmate, Ta...nia? - prima di svenire per il dolore atroce. Era rimasto seduto al tavolo della loro nuova casa per due giorni e due notti semicosciente; a volte andava a visitare il suo mondo di pazzo, altre tornava con gli occhi sgranati ed un ghigno sul viso imberbe. Tania lo aveva imboccato e gli aveva dato dell'acqua da bere; ma Bronco rigettava ogni cosa con la sua mano inchiodata al legno del tavolo. La bimba aveva perduto il sonno pensando che avrebbe continuato per sempre ad imboccare quella statua ghignante e a pulirgli il mento e le labbra dal suo vomito... senza mai riu­scire a schiodare la mano da lì. Quando Bronco la guardava fissa dal vuoto del suo dolore, le pareva che bofonchiasse parole confuse del tipo: - Stai lontana dai coltelli, piccola. Non ci provare... o ti afferro per i capelli e ti tengo qua ad aspettare con me. Noi due soli, immobili... ad attendere che mi arrivano le forze per dare un bello strattone a quella lurida mano e staccarmi da questo posto pieno di cacca e di piscio...

Neppure una volta aveva creduto di potergli calare l’accetta sul polso o uno dei coltellacci della cucina. Era stata brava. Riaffiorò con la mente nella invisibilità della nebbia. Doveva essere ormai quasi mezzogiorno. Si staccò molto lentamente dal fianco di Bronco e fece finta di non reggere più il suo passo monotono e grave. Impercettibilmente riuscì a perdere terreno. Aveva un’idea.

Bronco si voltò e la chiamò una sola volta.

Avrebbe tentato; il suo piano era pericoloso ma...

Bronco si girò di nuovo. Questa volta si limitò a scrutarla in tralice.

Sentì il sangue gelarle nelle vene.

Il cucciolo, che continuava a leccarle affettuosamente le ma­nine, sollevò il muso avvertendo quell’improvviso e indecifrabile cambiamento, in bilico tra la scelta dell'azione o della sua rinuncia. Attese teso e impaurito e fissò i suoi occhioni acquosi in quelli di Tania.

* * *

Fu scagliato lontano, verso valle. Sparato via da quelle esili mani di rosa, come se il suo pelame morbido avesse cominciato a prendere fuoco e ad esalare un fumo di minaccia. Tania lo aveva lanciato nella nebbia, dove sapeva che il pendio avrebbe completato la sua opera maldestra in maniera ancora più sgraziata e goffa. La nebbia aveva accettato il dono; le sue fauci si erano spalancate ed avevano inghiottito il boccone.

La bimba fece scorrere i palmi delle mani sulle guance; qual­che ciocca di pelo le era rimasta fra le dita. Poteva udire il cucciolo rotolare lanciando disperati guaiti. Così doveva essere, così era stato. Il piano di una bambina di sei anni, costruito con il dubbio e la paura, tenuti assieme da cerotti e bende, un poco di saliva ed una manica di bei pestoni; giusto perché la rabbia tiene in piedi le cose più storte o fatiscenti. Non sarebbe stato differente se avesse dovuto buttare il suo piccolo cuscino nel forno... magari allo scopo di far morire un incubo notturno.

La creaturina continuava a precipitare.

Ora Tania avrebbe affrontato le conseguenze... e fatto i conti con l’oste e con il fabbro... e con il macellaio. Sì, era pronta. Alzò il visino determinata a fronteggiare la situazione. Udì un ultimo, remotissimo uggiolio.

Bronco era lì davanti a lei, le gambe divaricate e gli occhi ciechi.

Aveva gettato il cuscino nel forno, ma il fantasma era salito sulla fiamma ed era uscito fuori in un nerissimo e soffocante fumo di pazzia...

* * *

- Dovrò punirti un’altra volta - sentenziò solo la voce cupa di Bronco.

Il silenzio divenne una tortura durante il lungo e mesto ritorno a casa. Là avrebbe regolato i suoi conti.

Il debito con il macellaio.

- Una bimba di sei anni ha la PAP-PA-GOR-GIA?

Varcarono l'uscio (la piccola ad occhi chiusi); Bronco la prese in braccio e la depositò sulla seggiola accanto al tavolo, al suo solito posto. Le tolse gentilmente le scarpine e le mandò a sbattere con violenza contro le pareti di legno, molto lontane l'una dall'altra. Le alitò sui piedi e li tenne stretti a turno nella mano destra per scaldarli un po’; poi li lasciò oscillare nel vuoto, guardandoli con remota curiosità. Rimase parecchio seduto lì sul pavimento coperto di chiodi, la testa leggermente piegata su di lato, un filo di bava che gli colava sul petto. Fuori cominciava a fare buio.

La nebbia si era ormai dissolta in una luminosa epopea di stelle dalla brillantezza cristallina.