La Terra non appartiene all’Uomo.
La nostra presenza è a malapena
tollerata. Per adesso.
Noi siamo il mare.
Noi siamo l’organo di riproduzione del pianeta e nel contempo la sua fonte di riverenza. La trinità rappresentata dal sole, dalla luna e dalla terra scambia le proprie energie sacre per nostro tramite.
Noi non conosciamo alcun limite, soltanto ostacoli che sminuzziamo con pazienza infinita. Noi siamo un prisma nella cui lente liquida si rifrange la diversità multicolore del pianeta. Dentro di noi ci sono le immagini di Atlantide, di Lemuria e di Mu, delle navi commerciali fenicie che solcavano gli oceani, del Titanic e dei cinque aerei del Volo 19 di cui non vi è più traccia.
Brulicanti di vita, ricreiamo infinite versioni dei medesimi pensieri. La nostra facoltà di sentire è nel tuo sangue, e in tutto ciò che contiene acqua.
Noi siamo il mare.
Noi non vediamo gli umani come gli umani percepiscono se stessi. Ai nostri occhi la creatura chiamata Uomo è un nucleo di calore che emana fulgore nello spettro caldo. L’Uomo è un cercatore di superfici solide, un organismo autoricostituente capace di generare rifiuti tossici.
L’Uomo è un cancro che è uscito strisciando dal nostro grembo.
Noi vigiliamo. Noi sappiamo. Noi siamo il mare.
Capitolo primo
A mano a mano che le calotte polari si scioglievano, il livello dei mari si alzava. Quando si resero conto che la terraferma sarebbe stata sommersa dalle acque, le persone reagirono in modi diversi. Alcuni iniziarono a pianificare, altri cedettero al panico. Altri ancora non fecero nulla, e si rifugiarono nell’apatia finché non fu troppo tardi.
Una colonia di contadini che da tempo aveva abbandonato la grande e caotica capitale dell’isola ed era andata a insediarsi in una distante penisola sulla sponda occidentale, per vivere in tranquillità del proprio lavoro su una terra fertile e ricoperta di boschi, fu la prima ad accorgersi che il mare giorno dopo giorno sommergeva la riva e cominciava a lambire le abitazioni.
Resisi conto del pericolo, decisero di costruire una imbarcazione che potesse metterli in salvo se il mare avesse definitivamente coperto la terra. Dapprima ci lavorarono nei ritagli di tempo che rimaneva loro dopo l’impegno nei campi, poi sempre più alacremente, e infine anche di notte, pressati dal timore che prima o poi l’intera penisola sarebbe stata sommersa.
Una volta terminato lo scafo, lo attrezzarono di remi, di una vela quadrata, e lo dipinsero di un appariscente color cremisi. Tutti gli uomini del villaggio lavorarono instancabilmente, mentre il mare si innalzava sempre più a ogni nuova marea.
Quella frenetica attività non passò inosservata, e ben presto gli uomini del villaggio dovettero combattere per difendere l’imbarcazione dalle incursioni di coloro che non erano stati sufficientemente assennati da costruirsene una. Gli attacchi divennero sempre più disperati e selvaggi e quando finalmente la barca fu pronta per il varo, erano sopravvissuti solamente tre uomini dell’intera colonia.
Tre uomini, e cinquanta donne.
Kesair, una donna robusta con i capelli ramati, quando vide che tutti avevano ceduto alla disperazione, con gli occhi fiammeggianti d’ira salì su un ceppo d’albero e si rivolse a loro urlando: – Dobbiamo lasciare questo posto prima che ci attacchino ancora e che ci rubino la barca! Preparatevi a imbarcarvi e a salpare.
– Ma come facciamo? – chiese una vedova con voce addolorata, – tra noi non ci sono più uomini!
– Ne abbiamo ancora tre – le ricordò Kesair, – e anche le nostre schiene sono forti quanto le loro. Non statevene lì impalati! Diamoci da fare!
Gli uomini che erano sopravvissuti, sfiniti dalle fatiche e spossati dalle battaglie, fissarono Kesair con lo sguardo vuoto.
Fintan aveva le spalle larghe e un portamento nobile, ma il suo volto era ingrigito dalla stanchezza, e dalle bende che gli avvolgevano il braccio rigato dal sangue.
– Quello che suggerisce Kesair è sensato – disse con voce roca, – facciamo come dice lei.
– Non mi piace prendere ordini da una donna – grugnì il suo compagno che si chiamava Ladra.
– E allora perché non sei salito tu sul ceppo a dare ordini? – chiese Byth, il terzo uomo, che sembrava fosse spuntato dal terreno sul quale era accasciato.
Ladra ribatté in tono di difesa: – Io ero impegnato a ricoprire di pece le funi.
– Questa è una scusa che non risolve il tuo problema.
– Fate uscire gli animali dal recinto e fateli salire sulla barca – ordinò in quel momento Kesair.
Dopo un breve attimo di esitazione, le donne si mossero per obbedirle. Fintan e Byth si unirono a loro per aiutarle, mentre Ladra se ne stava accigliato in disparte, finché non riuscì più a tollerare gli sguardi di disprezzo e fu costretto a unirsi a loro, borbottando fra sé.
Imbarcarono qualche bovino nero di piccola taglia, un paio di pecore dalle lunghe zampe, e tre capre dagli occhi gialli. Gli animali opposero qualche resistenza, ma ben presto cedettero. Anche loro sembravano percepire il mare che si avvicinava e che stava per inghiottirli, perciò, tremanti, si lasciarono trascinare sulla passerella e salirono a bordo.
Gli umani condividevano con loro questa sensazione e tutti, quando giunse il momento di partire, erano terrorizzati.
– Potremmo allontanarci dalla costa e aspettare al largo ancora un po’ – incalzò Ladra. – Forse le acque smetteranno di salire. Se scoprissimo di aver ceduto al panico senza motivo ci sentiremmo degli sciocchi. È meglio stare al sicuro e all’asciutto sulla terra che vagare senza meta sul mare. E se questa barca cominciasse a imbarcare acqua? E se affondasse?
Kesair guardò il mare, che si innalzava come una creatura muscolosa e viva. Poi si guardò i piedi, i cui alluci erano già lambiti dai primi rivoli della marea in arrivo.
– Oggi stesso la penisola sarà sommersa dalle acque – preannunciò – e quando accadrà io preferirò essere all’asciutto sulla barca.
Voltò le spalle agli altri e si diresse con passo deciso verso la passerella.
Con passo timoroso, rivolgendo sguardi carichi d’ansia all’acqua e alla terra, come se potessero ancora scegliere, gli altri la seguirono. Alla fine anche Ladra salì a bordo.
Ritirarono la passerella, mollarono le funi che tenevano il vascello ancorato a terra e si sedettero ad aspettare che il mare lo trasportasse alla deriva.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID