“Ci sono tre film da cui non puoi nasconderti quando racconti una storia ambientata nello spazio. Tre ‘giganti’ insuperabili da cui non puoi sfuggire: 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, Solaris di Andrej Tarkovsky e Alien di Ridley Scott. Per un film come Sunshine non puoi ignorarli, perché – di continuo – continui a rimbalzare su di loro e a scontrarti, involontariamente, con essi. Devi rispettarli e devi ossequiarli. Sono i film che hanno imposto un certo livello di aspettativa su qualsiasi altro film di fantascienza venuto dopo. E’ attraverso la visione di questi tre autori che noi abbiamo immaginato lo spazio in una certa maniera. Almeno al cinema. Sono questi tre film ad avere imposto un livello di aspettativa e di intensità per tutto il cinema di fantascienza. ” Così Danny Boyle parla delle sue influenze per Sunshine: pellicola ambientata cinquanta anni nel futuro quando un gruppo di astronauti deve scagliare una bomba atomica nel cuore del Sole morente allo scopo di riattivare il processo di fusione nucleare. Una pellicola interessante che tra scienza e fantascienza sconfina più volte nello spirituale e nel filosofico.
Cosa l’attraeva di più di Sunshine?
La premessa di otto astronauti che volano verso il sole sul dorso di una bomba grande quanto Manhattan era di per sé molto affascinante. Nessuno, poi, aveva mai fatto un film sul Sole. Sì, intorno al Sole erano andati i Thunderbirds e Lost in Space, ma si trattava di situazioni più all'insegna del 'che caldo che fa' piuttosto che qualcosa di veramente serio e interessante. Per me è stato meraviglioso fare un film sul Sole che è all'origine della vita per tutti quanti noi.
Il cinema americano dello spazio è, spesso, un po’ cafone e pieno di cowboys, mentre quello inglese è molto differente…
Lei ha perfettamente ragione. Alcuni film americani di grande interesse sono stati realizzati in una certa maniera proprio in Inghilterra. La nostra idea è che nello spazio non puoi essere così ‘eroico’ come dovresti essere. Lo spazio rende tutti uguali ed è per questo che devi avere un cast di attori normali senza star. Così li puoi uccidere nell’ordine in cui preferisci. Nello spazio non ci sono garanzie e tutti possono morire. Questa idea è sicuramente un grande contributo della cultura britannica al cinema di fantascienza.
Parliamo del suo rapporto con la fantascienza…
Quando ho girato il mio film Shallow Grave - Piccoli omicidi tra amici non avevo idea che Ewan McGregor e Christopher Eccleston avrebbero avuto tanta importanza nel cinema SFX. Il primo è diventato Obi Wan Kenobi, un Signore dell'universo e l'altro ha interpretato un'altra icona della fantascienza britannica: il Dr. Who. Io sono sempre stato molto interessato dal fantastico. L'ho fatto per Trainspotting e anche per altre pellicole che ho diretto. Mi piace essere estremo e correre dei rischi spingendo il cinema verso il suo limite. Il fatto è che i produttori desiderano avere meno problemi e - come in questo caso - obbligarci a utilizzare le tute bianche 'regolari' della Nasa. Io, invece, le volevo dorate, per correre altri rischi. Ed è questo un po' il senso del confronto con il fantastico: essere originale e spingere tutto verso il limite e l'estremo.Ci sono due tipi di fantascienza: una che diventa fantasy come nel caso di Star Wars e Star Trek dove può succedere di tutto. Una specie di parco giochi galattico dove tutto è possibile con ogni tipo di pianeta e creatura. Poi c’è una fantascienza hardcore, come per questo film e altri in cui il tuo cervello viene messo sotto a un microscopio. E’ un po’ come se gli esseri umani entrassero in competizione con l’assoluto estremo. Questa fantascienza è estrema, violenta e brutale e porta il pubblico dove non è mai stato prima: all’inferno oppure nel cuore del Sole.
Lei ha lavorato a stretto contatto con la Nasa: cosa l’ha stupita di più di questo incontro?
Uno tenderebbe a pensare che la fantascienza venga influenzata dalle idee della Nasa. Non è vero: la Nasa è la prima a consultare gli scrittori di fantascienza e a cercare di capire le loro idee. Lo spazio della Nasa è basato sui fatti e sulla scienza, ma – al tempo stesso – con cadenza piuttosto regolare vengono consultati i maggiori pensatori di fantascienza per capire quale sia la loro visione del futuro. E’ un po’ come l’idea di Asimov del codice etico per i robot. E’ una prova che bisogna pensare oltre i piccoli confini del nostro mondo, perché un giorno quel mondo ci sarà. Considero l’apporto di questi pensatori come essenziale. Alex Garland, lo sceneggiatore del film, è un visionario di questo tipo. E’ un uomo che pensa molto più lontano di noi. Come ad esempio l’autore di Solaris, Stanislaw Lem. Quando leggi il suo romanzo è come se la tua mente si espandesse. Gli anni Sessanta hanno partorito idee geniali come questa o 2001. Non si tratta di droghe, o almeno non solo dell’utilizzo delle droghe. La mente delle persone in quell’epoca sembrava ‘levitare’. Forse perché la guerra era ormai alle spalle dell’Europa, forse, per qualche altro motivo, ma la mente della gente sembrava allungarsi a dismisura. La gente pensava in maniera diversa e probabilmente più in grande.
Oltre alla tecnologia c’è l’incontro dell’uomo con l’assoluto dello Spazio…
Nello spazio non c’è nulla di favorevole all’uomo. A parte il nostro pianeta, la natura non è ‘benigna’ nei nostri confronti. Nello spazio la natura è ostile ed è pronta a ucciderci e l’unica maniera che abbiamo per ‘batterla’ è la scienza. La scienza è la nostra risposta per viaggiare.
Tornerà nello spazio con il suo cinema in futuro?
No, nessun regista fa più di un film di fantascienza: è impossibile. E’ un lavoro durissimo e stancante. Ti succhia via tutte le tue idee. Non mi sento capace di ricominciare daccapo. Puoi tornare nello spazio solo se fai un sequel, altrimenti si tratta – come nel mio caso – di un viaggio di sola andata.
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