L'esempio più lampante arriva dall'ultimo romanzo di Cormack McCarthy, The Road, di cui abbiamo già parlato tempo.

E' ambientato durante un inverno nucleare e parla di due sopravvissuti che si trovano a respirare aria intossicata, evitare bande di cannibali, cercare quel poco di cibo in scatola ancora disponibile in giro ed in generale cercare di non morire.

I critici l'hanno definito con il termine "Post-apocalittico", o anche "capolavoro di realtà distopica". Tutto fuorché "fantascienza".

E' l'ultimo e più rappresentativo esempio del rifiuto di intere schiere di scrittori, registi, editori e produttori di far rientrare la loro ultima creazione in una categoria che ai loro occhi non li fa rientrare nella cosiddetta "narrativa seria".

Nella biografia di Arthur C. Clarke appena pubblicata dal gigante Random House non di parla di fantascienza, ma del "più grande creatore di miti di tutti i tempi". Secondo Amazon, il film francese L'arte del sogno è di tutto: commedia, romantico, fantastico, dramma, ma il cielo non voglia che sia di fantascienza.

Alla schiera si aggiunge di corsa il rinnovatore di Battlestar Galactica, Ron Moore, che in una intervista al magazine Sfx la definisce "realtà allargata. Ma non appartiene al genere della fantascienza".

Ma la negazione ha radici anche più profonde: negli anni 50 Robert Heinlein disse che lui scriveva di "fiction speculativa".

Al che nasce la domanda: quale fiction non lo è?

Il critico Chris Bersanti, l'unico che riguardo a The Road ha avuto il coraggio di usare il termine narrativa fantascientifica, ammette che ormai la gente in quel termine ci vede automaticamente "battaglie spaziali, scienziati pazzi, viaggi nel tempo,alieni... fantasy con il testosterone".

Che suona come un elenco di cose sbagliate e da cui rifuggire da parte degli addetti ai lavori se non si vuole finire nel ghetto della fantascienza.

A chiudere la fila c'è Andy Sawyer dell'università di Liverpool, che offre anche un master in letteratura fantascientifica e pubblica una rivista dedicata dal nome non casuale di Foundation. "C'è una crescente popolarità della fantascienza, al cinema, in tv e nei videogame. Ma non li vedrai mai nella top ten se prima non togli l'etichetta fantascienza".

A questo dato però ne va aggiunto un altro, che parte proprio dal suddetto The Road.

Insieme a lui presto avremo il film Sunshine, di Danny Boyle: il sole sta morendo, la terra è alla frutta e un gruppo di persone, spedite nello spazio per sganciare una atomica sul sole per farlo riaccendere, diventano prima uno riflesso della società e poi iniziano un gioco al massacro.

Vogliamo poi parlare del prossimo Fountainhead, tratto da Ayn Rand? Il mondo occidentale sta decadendo, il futuro è nero, l'intera storia una pesante analisi di quanto siamo tristi e stanchi.

Oppure abbiamo l'abusato schema "mostro alieno attacca (mettete il posto che preferite) uccide (mettete voi la cifra) persone, scontro finale". Poi il/la buona può morire o meno, a seconda di quanta voglia ha lo sceneggiatore di fare il finale a effetto.

La fantascienza è diventata la terra del nichilismo di comodo, ha visto cancellare il sense of wonder, sostituito da battaglioni di persone impegnate che ritengono di doverci insegnare cosa sia la realtà. Forse perché loro non ci vivono molto. Perché se lo facessero capirebbero perché siamo ancora in attesa di una grande storia epica, rutilante e soprattutto, avventurosa.

Ma mi raccomando, non chiamatela fantascienza, semmai "realtà alternativa" o non ve la pubblicherà nessuno.