Arrivi alla pubblicazione di un romanzo come scrittore "di lungo corso", con all'attivo numerosi premi vinti e pubblicazioni su antologie. Quali sono state le tappe fondamentali della tua crescita coma autore?
I concorsi sono una sorta di percorso obbligato per un autore italiano, specie per chi ha scritto soprattutto racconti. E non solo nella fantascienza. I premi più seri e autorevoli ti aiutano a prendere a spallate porte che normalmente sono chiuse a tripla mandata. Le tappe fondamentali sono state la pubblicazione del mio primo romanzo in volume “La baracca degli angeli neri” per la Solfanelli di Chieti, nel 1991, e le antologie più importanti in cui sono comparsi miei racconti: “Fantasia”, curata da Franco Forte nel 1995 per Stampa Alternativa, “Passi nel delirio” (curata da Graziano Braschi, 2000, Addictions), “Jubilaeum” (Andrea G. Colombo, 2000, Edizioni PuntoZero) e soprattutto le due raccolte di Mondadori del 1998 e del 2003: rispettivamente i Millemondi “Strani giorni (Franco Forte e Giuseppe Lippi) e “In fondo al nero” (Gianfranco Nerozzi). Un passo fondamentale, dopo tanti racconti, è stato però decidermi a scrivere una storia molto più lunga, investendo due anni della mia vita: Infect@ appunto. E poi voglio ricordare tre premi: il Tolkien, i due Lovecraft e i tre Premi Italia. Queste le tappe principali, ma il percorso mi ha dato animo di continuare anche con episodi molto più piccoli: le parole di alcuni amici e colleghi, le loro attestazioni di stima, l’incitamento di mia moglie e mio figlio (che mi ha pure premiato a un Italcon). Mia moglie non legge SF, io sono l’unico scrittore di fantascienza della sua vita. Il punto è che non ha nessuna intenzione di allargare i suoi orizzonti fantascientifici. Essere l’unico e il solo a rappresentare la categoria è una responsabilità enorme. E uno stimolo straordinario.
Esiste secondo te una "via italiana alla fantascienza"?
Eccome, comunque si voglia prendere la tua domanda. Se intendi identità, ambientazioni, idee credo che noi italiani siamo al passo con i più celebrati colleghi inglesi e americani, anche se la frase “A Lucca mai” qualche ferita l’ha aperta... Se invece ti riferisci al numero di “praticanti”, cioè agli autori, basta che tu dia una scorsa al catalogo di Ernesto Vegetti. Se, però, ti riferisci alle copie vendute in libreria e in edicola, devo dire che la “via” effettivamente non è molto visibile…
Infect@è il primo romanzo non vincitore del premio Urania che Mondadori pubblica da parecchio tempo. E' sperabile che questa apertura abbia un seguito. In ogni caso, secondo te questa ricorrente diffidenza nei confronti degli autori italiani ha delle giustificazioni concrete? Se sì, come si potrebbero superare?
Voglio vederla così: quando in un concorso letterario le opere pervenute non sono meritevoli, di norma la giuria opta per non assegnare il premio. Quando invece il livello delle opere partecipanti è buono, si sceglie di gratificare anche i secondi, i terzi e i quarti, magari al di fuori dei regolamenti scritti. Ovvio che nel caso di Urania un’opzione di questo genere fa scalpore, genera curiosità, perché vuol dire investire davvero in un autore, dargli visibilità e opportunità future. Ripeto, è un segnale straordinariamente incoraggiante lassù da Segrate. Diffidenza nel passato nei confronti degli autori italiani? Credo che fosse agli occhi di tutti e mi risulta che da Urania non la nascondessero neppure. Ora, però, e da un po’ di anni, le cose sono cambiate.
I tuoi racconti si muovono spesso al confine tra i vari generi letterari. Che rapporto hai con le convenzioni di genere? Ed hai una tua personale definizione di "fantascienza"?
Le convenzioni non mi interessano, a qualunque forma di narrativa si riferiscano. La mia parola d’ordine è “ibridazione”: tra generi, tra idee, tra ambientazioni. Un’altra è “borderline”. Non mi sento accasato in nessun genere cosiddetto “puro”. Come autore mi piace contaminare ed essere contaminato. In questo, il titolo del mio romanzo - Infect@ - cade a fagiolo, è quasi una dichiarazione d’intenti. Infect@ è fantascienza tanto quanto è noir. Anzi, prendendo a prestito una definizione coniata da Richard K. Morgan, è un “future noir”. Quanto alla mia personale interpretazione della parola “fantascienza” posso soltanto dire che non mi sforzo di essere plausibile o “scientifico” a tutti i costi. Esiste una verosimiglianza che si declina in termini di fantasia e di azzardo, purché il prodotto finale sia coerente con se stesso. E’ quella a cui tendo quando scrivo una storia.
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