Pubblicato in Italia per la prima volta da Fanucci, con prefazione dell’immancabile Carlo Pagetti e una splendida copertina di Antonello Silverini, Il paradiso maoista è probabilmente il primo romanzo scritto da Philp K. Dick; tuttavia, contrariamente al corpo di opere che hanno reso celebre l’autore, Il paradiso maoista non è un libro di fantascienza, ma un romanzo cosiddetto mainstream, ovvero non di genere.
Verne, Barbara e Carl sono tre impiegati di una compagnia statunitense che ha appena chiuso i battenti; la compagnia ha la sua sede in Cina, e tra poco l’intero complesso verrà ceduto alla popolazione autoctona. I tre, ricevuto l’ordine di attendere l’arrivo dei cinesi per il passaggio di consegne, passeranno alcuni giorni nell’inattività più totale, godendosi le risorse dell’enorme complesso, come padroni, ma con le ore contate.
In questo paradiso-deserto (molto azzeccato il paragone di Pagetti con l’attesa di Drogo in Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati) si intrecciano le personalità e i ricordi dei personaggi: il cinico Verne, la problematica Barbara e il giovane entusiasta Carl.
Nel limbo dell’inattività si aprono sipari di memoria, in cui si abbozza un’America venata dall’inquietudine post-bellica, le vite traumatiche ed irrisolte dei personaggi, un senso di declino, di tramonto.
Il soggetto e l’ambientazione traggono però in inganno; non è qui, infatti, la differenza sostanziale tra i romanzi dickiani “di genere” e questo libro.
L’ambientazione, infatti, è molto vicina a quella del Dick spaziale e postatomico: il grande complesso industriale in stato di abbandono, avvolto da nebbia e oscurità, gelato dal freddo e bruciato dall’arsura non è troppo distante dai miseri tuguri di Le tre stimmate di Palmer Eldritch, o dalla cupola-trasmettitore di Divina invasione; gli stessi personaggi, poi, immersi in questa periferia del tempo e dello spazio, vivono di ricordi, quasi privati della prospettiva del domani, come gli astronauti condannati di Labirinto di morte.
La specificità del romanzo va piuttosto ricercata nei temi che emergono dallo scavo psicologico dei personaggi, da cui emergono le paure sul sesso, l’ossessione per il femminino perturbante (Teddy, ex-ragazza di Verne è la prima dark haired girl dell’orizzonte dickiano) e un tremendo senso di frustrazione e fallimento.
Così in questo non-luogo sembra essere in ballo l’esistenza stessa del mondo e del futuro, in bilico tra le spinte distruttive del cinismo e della sopraffazione e le timide spinte di rinnovamento proprie della giovinezza e dell’innocenza.
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