Il mensile Newton ha intervistato qualche giorno fa il noto scrittore Arthur C. Clarke, padre storico della fantascienza d'impronta tecnologica e collaboratore dell'immenso Stanley Kubrick nella realizzazione di quell'immortale capolavoro della storia del cinema che è 2001: Odissea nello Spazio. L'intervista può essere letta integralmente sul numero della rivista in edicola questo mese o sul sito del Corriere della Sera, a noi interessa concentrare l'attenzione su alcuni punti, quelli in cui Clarke si sofferma sul suo rapporto con i temi del futuro.
Clarke vive ormai da diversi decenni sull'isola di Ceylon, dove la gente del posto lo conosce come "L'uomo della Luna". Autore di capolavori come Le guide del tramonto e Incontro con Rama, di racconti memorabili come Sentinella (da cui il film di Kubrick), Incontro con Medusa o Canti della Terra Lontana, è stato anche scienziato e direttore della Società Interplanetaria Britannica, nonché ideatore della cosiddetta "orbita di Clarke", ovvero l'orbita geostazionaria attualmente sfruttata dai satelliti commerciali usati nelle telecomunicazioni. E' addirittura tra i progettisti e propugnatori dell'ascensore spaziale, un sistema per l'immissione di materiale e attrezzature su orbite basse, considerato pressoché unanimamente dagli esperti come la soluzione più promettente ed economicamente vantaggiosa per il futuro dell'esplorazione spaziale. Si può tranquillamente sostenere che sia tra gli autori di fantascienza che più hanno influito sul mondo come noi lo conosciamo oggi, con un impatto paragonabile al cyberspazio di matrice gibsoniana.
Nella sua chiacchierata con Giorgio Rivieccio, direttore di Newton, Clarke ha affrontato diversi temi, ma si è soffermato sulla sua visione del futuro dell'uomo. Interrogato in merito all'evoluzione dell'umanità, lo scrittore ha ribadito che "la colonizzazione dello spazio è il prossimo passo logico nella nostra evoluzione come specie. È il grande passo successivo a quello che portò i nostri antenati, quando erano pesci, a trasferirsi dal mare sulla terraferma" ha affermato con una analogia di sicuro impatto. "Si immagini un pesce tradizionalista che, un miliardo di anni fa, diceva ai suoi parenti divenuti anfibi: «La vita sulla terraferma non è paragonabile a quella marina. Noi stiamo bene quaggiù dove ci troviamo». E così fecero i pesci, e sono rimasti pesci. I nostri discendenti che vivranno sulla Luna e su Marte certamente visiteranno la Terra ogni tanto, indossando degli esoscheletri per far fronte alla sua schiacciante gravità, e maschere antigas per filtrare gli innumerevoli cattivi odori che il nostro Pianeta ha imparato a generare nel corso della sua storia di milioni di anni. Ma non credo che desidereranno vivere qui permanentemente".
Sul breve periodo, Clarke è ancora convinto delle possibilità - che presto potrebbe essere offerta da una tecnologia sufficientemente raffinata - di realizzare trasferimenti di dati attraverso un'interfaccia diretta con il nostro cervello. "Il traguardo ultimo dei dispositivi input–output sarà la possibilità di scavalcare tutti i sensi dell’organismo umano e inviare segnali direttamente nel cervello. Come ciò si possa fare con esattezza lo lascio ai biotecnologi; per parte mia in 3001: Odissea Finale ho descritto il braincap" ha aggiunto con un tocco di ironia. "L’adozione diffusa del dispositivo potrà essere ritardata dal fatto che per indossarlo bisognerà probabilmente raparsi a zero. Così, la produzione di parrucche potrà diventare un grande business tra pochi decenni". Spingendo oltre lo sguardo, Clarke arriva a immaginare la possibilità per le civiltà più progredite di compiere un balzo evolutivo finale verso uno stato di pura energia, rievocando l'immagine del Feto Cosmico che apre gli occhi sulla notte delle immense distese interplanetarie nelle sequenze finali di 2001. "Trasformarsi in pura energia è un modo per sottrarsi alla tirannia della materia e io mi figuro tranquillamente degli esseri realmente avanzati che stanno valutando i pro e i contro di una loro trasformazione in energia. Certo, non saranno più in grado di godere di alcuni piaceri del mondo materiale, ma quando tutto diventa uno stato mentale a chi importa più?"
Una visione senz'altro ottimistica, quella dello scrittore britannico, che non trascura nemmeno la possibilità di un futuro contatto con specie aliene. "Personalmente non ho dubbi che l’universo brulichi di vita" ha confidato. "Una delle mie speranze segrete è trovare un segno, qualsiasi segno, di alieni nel corso della mia vita. Preferirei un segno di vita intelligente, ma metterei la firma anche per trovare un segno di vita batterica." Ma poi la sua fiducia si traduce in un interrogativo che inquieta profondamente, riproponendo la sua alternativa al celebre paradosso di Fermi. "D’altra parte, può anche darsi che una civiltà intelligente abbia deciso di evitare qualsiasi contatto con noi, viste le condizioni disperate in cui abbiamo ridotto il nostro mondo. Chi lo sa, noi terrestri potremmo anche essere stati messi in una «quarantena galattica»!"
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