Girato come un film in bianco e nero degli anni Quaranta, 'Intrigo a Berlino' è una pellicola poco ispirata, diretta da uno Steven Soderbergh alla ricerca di contenuti per dare un senso al suo stile.

Tra macchine traballanti e uno stile recitativo tutt'altro che naturale, si dipana la storia di una prostituta tedesca nella Berlino del primissimo dopoguerra e del suo misterioso passato. Quando un giornalista di guerra torna nell'ex capitale del Reich deve tenere conto sia delle macerie morali che di quelle dei palazzi distrutti dall'attacco dell'Armata Rossa. Tutto è cambiato, ma - soprattutto - la donna che aveva una volta amato, sembra essere coinvolta in trame pericolose e in una serie di omicidi volti a coprire segreti inquietanti.

Interpretato da un George Clooney monoespressivo e sensibilmente non convinto del proprio lavoro, da una Cate Blanchett bellissima che il bianco e nero rende ancora più somigliante a tante star della Hollywood degli anni d'oro (Garbo, Dietrich, Gardner...) 'Intrigo a Berlino' soffre della stravagante idea di raccontare una storia di ieri con lo stile visivo e la sensibilità narrativa di sessanta anni fa. Un'operazione estetica non nuova alla sperimentazione di Soderbergh che, però, alla fine sembra completamente mancare di senso. L'intricata trama piena di scazzottate e di intrighi che nascondono atti vergognosi, sembra soffocata da una narrazione che oggi come oggi ci appare non adatta.

E' un po' come se i calciatori di oggi, preparati e cresciuti con altre tecniche, indossassero le buffe divise del bel tempo che fu e scendessero in campo con pallone di cuoio cucito e porte quadrate. Alla fine la partita sarebbe comunque un'altra perché spesso recitazione e stile di gioco trascendono gli intenti, ma seguono formazioni culturali e istinti facilmente reprimibili altrimenti. In questo senso pur ammirando gli sforzi di tutti e - soprattutto - la bellezza di Cate Blanchett non si può restare delusi, se non addirittura annoiati da un'impresa artistica non facile, ma soprattutto erronea sin da principio. Pur amando il cinema di quegli anni, lo stile ingenuo e il fascino di quegli interpreti, 'Intrigo a Berlino' non ha nulla a che vedere con quel tipo di film, soffrendo di una modernità necessaria connaturata agli attori, ma anche al regista che non può fare a meno di licenze poetiche come le parolacce e la sessualità, bandite dal codice deontologico della Hollywood dell'epoca.

Non una pellicola di qualità scadente, bensì un'operazione narrativa dubbia soprattutto per il suo tono drammatico. Va detto, poi, che la scelta di affidare la voce off ai tre protagonisti in fase differenti del film è sicuramente l'ultimo chiodo sulla bara di un film da dimenticare.

Forse, come insegna il Mel Brooks di Frankenstein Jr. - quando devi davvero confrontarti con una grande passato più che imitare gli altri, devi paradossalmente restare fedele, tradendo e innovando. E' nell'ambizione di dire altro che devi provare ad essere umile, non nel tentativo di un omaggio continuo forse noioso, ma certamente ridondante.