Da almeno un secolo l'incubo di generazioni di studenti nelle facoltà di scienze e ingegneria di mezzo mondo porta il nome di un fisico scozzese, uno scienziato di statura titantica che intorno alla metà dell'Ottocento gettò le basi per tutta la scienza che sarebbe venuta, giungendo a vantare un credito ingente perfino sulla relatività einsteniana: James Clerk Maxwell. Senza il suo lavoro non avremmo avuto la radio, la televisione, i cellulari e tutta la tecnologia dell'informazione su cui si basa la nostra civiltà. Eppure nei sogni disturbati degli universitari, il suo nome evoca la tortura di terribili equazioni differenziali, le stesse che descrivono l'elettromagnetismo nelle cui onde viviamo immersi. La trovata più brillante di questo genio immenso è forse più familiare ai lettori di fantascienza, specie ai più attenti. Si tratta di un'invenzione paradossale (nonché irrealizzata) passata alla storia con il nome di "diavoletto di Maxwell", che in ambito fantascientifico ha fatto la sua apparizione in più di un romanzo, dal Monday Begins on Saturday dei fratelli Boris e Arkady Strugatsky alla Cyberiade di Stanislaw Lem (che include un racconto dal titolo chilometrico e spassosissimo: La sesta fatica ovvero Come Trurl e Klapaucius crearono un Demone di Seconda Classe per sconfiggere il pirata Pugg), senza tralasciare i racconti di Isaac Asimov (chimico) e Larry Niven (matematico), e recuperando magari un capolavoro della paranoia come L'incanto del Lotto 49 di Thomas Pynchon. Ma in cosa consiste, davvero?
Il diavoletto di Maxwell è un ipotetico congegno, ideato concettualmente da Maxwell per affermare il rango straordinario che può vantare il secondo principio della termodinamica nel panorama delle leggi fisiche. Il secondo principio gode infatti di una dignità particolare, avendo un valore non oggettivo e immutabile, bensì statistico. Questa sua peculiarità ha prodotto nel corso dei secoli il proliferare di tutta una serie di bizzarrie e proclami, che non di rado sconfinavano nelle famigerate bufale del moto perpetuo. Tra i costrutti paradossali generati dal secondo principio spicca per coerenza il diavoletto di Maxwell, un dispositivo immaginario capace di agire su scala microscopica allo scopo di produrne una violazione macroscopica. Il secondo principio della termodinamica ha ricevuto diverse formulazioni, da Clausius (è impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di trasferire calore da un corpo più freddo a un corpo più caldo) al Kelvin-Planck (è impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato preveda che tutto il calore assorbito da una sorgente omogenea sia interamente trasformato in lavoro). Ma è la sua formulazione più recente, basata sul concetto di entropia (ovvero la misura statistica del disordine di un sistema), che ha avuto il maggiore impatto storico e immaginifico: si afferma infatti che l'entropia di un sistema isolato non può decrescere nel tempo, arrivando in questo modo a definire una freccia del tempo attraverso la non reversibilità dei processi termodinamici. Ed è qui che entra in gioco Maxwell.
Se si accetta di poter descrivere un sistema macroscopico (per esempio un gas) come un insieme di particelle eventualmente interagenti, si può reinterpretare lo stato di equilibrio termodinamico come quello più probabile e, di conseguenza, quello più di frequente realizzato dalle particelle. Nessuno può escludere l'esistenza di fluttuazioni termodinamiche che possano portare il sistema in uno stato diverso da quello di equilibrio: la loro incidenza è ridotta esclusivamente dalla loro improbabilità, e non per una qualsivoglia giustificazione meccanica. Il diavoletto proposto da Maxwell dovrebbe allora essere un congegno di qualche tipo, operante secondo tali leggi, ma a livello microscopico, capace di realizzare uno stato macroscopico altamente improbabile. Una delle possibili attuazioni prevede un contenitore pieno di gas all'equilibrio termodinamico (quindi di particelle equidistribuite), diviso da un setto dotato di un foro che lascia passare le particelle solo in un verso e non nell'altro. In virtù di questa conformazione, la pressione da un lato del setto supererà ben presto di una quantità macroscopica quella dall'altro lato permettendo di estrarre lavoro meccanico dal sistema. Il tutto si può facilmente rendere ciclico, violando così il secondo principio della termodinamica. Nell'esempio, il setto si comporta alla stregua di un diavoletto di Maxwell: un'immaginaria entità capace di discriminare tra le particelle a seconda del verso del loro movimento.
Delle possibili implementazioni tecniche ispirate da questo schema concettuale, nessuna è mai stata realizzata. In effetti la realizzazione di un meccanismo analogo al setto solleva una serie di problematiche non banali, sicuramente di non facile risoluzione: la principale obiezione riguarda la necessità di un meccanismo decisionale, che possa funzionare sulla base del diverso comportamento delle particelle, e che per farlo richiede comunque energia. Insomma, l'entropia ha sempre retto agli assalti portati dagli scienziati arroccata nel suo inespugnabile baluardo teorico. Almeno finora. Perché un micro-motore i cui componenti sono singole molecole è stato messo a punto dal dottor David Leigh e dal suo gruppo di lavoro presso la facoltà di chimica dell'Università di Edimburgo, e potrebbe aprire finalmente la strada alla rivoluzione delle nanomacchine. In natura esistono già simili macromolecole con funzioni dedicate: circolano nel nostro sangue (si pensi all'emoglobina), presiedono alla codifica proteica nelle nostre cellule (i ribosomi), gestiscono il trasferimento d'informazione tra cellule diverse o l'assorbimento di nutrimento dall'esterno (traportatori di membrana). Ma ci troviamo a parlare di una scala di grandezza (il nanometro è pari a un miliardesimo di metro) tale da rendere estremamente difficoltoso l'intervento umano. Leigh e i suoi sono riusciti a compiere un primo, importantissimo passo nell'emulazione di questi meccanismi che consentono lo sviluppo della vita a livello molecolare, spiccando quasi un balzo verso le frontiere più ardite delle nanotecnologie. Il loro meccanismo è riuscito infatti a catturare molecole in movimento secondo il loro moto naturale, utilizzando per funzionare esclusivamente i fotoni assorbiti dall'ambiente. Si tratta di un risultato formidabile, come tende a sottolineare lo stesso Leigh, che ammette di non avere idee sulle possibili applicazioni future di questo settore ancora tutto da esplorare. Ma d'altro canto, come dargli torto quando afferma che immaginare qualcosa del genere "è un po' come chiedere all'uomo che ha inventato la ruota nell'età della pietra di immaginarsi l'autostrada"?
Il diavoletto di Maxwell travolto dal disordine elastico delle particelle racchiuse in una scatola, illustrato con crudele sadismo sui nostri libri di scuola, si avvia dunque a prendersi la sua rivincita. I giorni dell'entropia potrebbero essere contati: computer quantistici, tessuti autoriparatori, cure antitumorali mirate, ridefinizione dei contorni genetici della vita... Ecco solo qualche spunto preso a caso da libri e racconti di fantascienza. Secondo la celebre intuizione di Arthur C. Clarke, la prossima frontiera della scienza comincia a somigliare sempre di più alla magia.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID