A cinque anni di distanza da L’uomo invisibile – Hollow Man il regista olandese Paul Verhoven torna al cinema con Black Book. Un intrigante thriller politico ambientato sullo sfondo dell’Olanda della Seconda Guerra Mondiale, all’ombra dell’Olocausto. Una pellicola intensa e piena di sorprese interpretata da un’affascinante giovane attrice olandese di nome Carice Van Houten. L’ultimo dei personaggi femminili ritratti da Verhoeven che sullo schermo ha già immortalato vere e proprie icone. Da Sharon Stone in Basic Instinct a Elizabeth Shue per L’uomo invisibile – Hollow Man o Denise Richards in Starship Troopers, Verhoeven ha sempre caricato i personaggi femminili del suo cinema di una grande dose di fascino e ambiguità. “Il mio interesse principale era quello di andare contro i cliché legati ai nazisti, alla Resistenza e alla Seconda guerra mondiale. Basta leggere qualche libro per rendersi conto di come le cose siano sensibilmente più complesse di quello che – normalmente – la gente è portata a pensare.” Spiega Verhoeven che torna in Europa per girare un film a vent’anni di distanza dal suo esordio americano con Robocop seguito da Atto di Forza – Total Recall. “Sono convinto che la vita sia piena di sorprese e che la gente sia spesso differente da quello che la si ritiene essere. E’ un piacere andare contro il politicamente corretto, dai cliché e da quello che la gente tende ad aspettarsi.” Dice il regista che considera Black Book come un altro progresso molto interessante della sua carriera. “Questo è un tratto decisivo del mio cinema: si tratta di qualcosa che faccio da sempre attraverso i miei film. Io ho sempre provato ad essere innovativo, controverso, provocatorio.”
Come valuta questo suo ritorno in Europa?
Sono contento. Sono andato in America dopo avere girato in Olanda molti film realistici. A Hollywood, invece, ho girato per caso Robocop solo perché mia moglie insisteva. Altrimenti trovavo tutta la storia assolutamente ridicola. Quando abbiamo riletto la storia insieme e trovato una chiave ‘politica’, mi sono reso conto di quello che ci si poteva fare con quel film. Riguardando a Robocop oggi ci ripenso con piacere. Per me l’America è stata come tornare alla mia infanzia. Era come quando da piccolo a L’Aja leggevo le avventure di Tin Tin e gli altri fumetti. Per fare quel tipo di cinema sono tornato ad essere ragazzino. L’Europa, invece, per me rappresenta il momento adulto dopo una seconda infanzia cinematografica americana vissuta tra horror, supereroi e fantascienza. Forse un po’ risibile, ma sicuramente divertente. Ovviamente non sono stati i soldi a spingermi a tornare in Europa dove prendi un decimo di quello che ti danno a Hollywood. Mi interessava tornare a fare qualcosa che mi piacesse ed interessasse davvero. Non lo puoi fare sempre, perché altrimenti in bancarotta, ma qualche volta devi seguire la tua anima.
Altrimenti?
Altrimenti sei perduto: dopo L’uomo invisibile – Hollow Man ho iniziato a temere di sentirmi un po’ “perso”. Non ce la facevo più e – a causa dello Studio – non ero riuscito a mettere nessuna impronta personale a quel film. Non ho potuto fare nulla per cambiare le cose e nemmeno per adattare la sceneggiatura al mio stile.
Che si esprimeva come?
In film come Robocop e Starship Troopers si nota come è presente la mia volontà di portare alle estreme conseguenze la storia. Con L’uomo invisibile – Hollow Man avevo, invece, le mani legate. Il fatto è che oggi non posso fare più film di fantascienza che riguardano storie verso cui non nutro alcun interesse e nei cui confronti non posso agire per renderle davvero mie. Ho deciso di non accettare più nulla che non fosse vicino al mio cuore. Sto invecchiando e quindi perché preoccuparmi di alzarmi dal letto per fare un lavoro che non mi interessa? Se non ho storie importanti da raccontare qui o in America allora anziché fare cinema preferisco dedicarmi a miei studi sulla figura storica di Gesù e sul primo cristianesimo.
Invece cosa la ha spinta verso Black Book?
Era un progetto che avevo messo da parte. Poi un giorno mi ha chiamato lo sceneggiatore Gerard Soeteman e mi ha spiegato come risolvere il problema narrativo che ci aveva fatto arenare. Originariamente, infatti, doveva essere il marinaio il protagonista della storia, mentre Rachel moriva. Abbiamo, invece, deciso di invertire i ruoli e – alla fine – tutto è funzionato rendendo lei la protagonista. Io non ho coscientemente deciso di tornare in Europa: soltanto che mentre lavoravamo a Black Book anche i due progetti americani interessanti su cui avevo messo l’occhio non erano andati avanti. Così – alla fine – mi sono trovato con la sceneggiatura finita.Ho girato questa pellicola che mi rappresenta in pieno. Io sono Black Book: un film molto personale e vicino al mio modo di intendere il lavoro.
E adesso?
Non ho ancora trovato i finanziamenti, ma ho già opzionato una serie di libri di Boris Akunin basati sulle avventure di un detective russo di nome Fandorin tra Londra e San Pietroburgo. Un personaggio molto affascinante e letale. Per me è un po’ come ‘Tin Tin per gli adulti’. Ho letto il primo libro in francese, perché me l’aveva mandato mia figlia che all’epoca studiava a Mosca storia russa. Fandorin è un personaggio divertentissimo. E’ sopra le righe ed estremo, ma anche elegante e violento. Facendo un paragone musicale è un personaggio stile Mozart. Non alla Wagner…L’ultima volta che ho fatto qualcosa del genere è stato in Olanda quando ho girato una serie televisiva sul cui set ho incontrato Rutger Hauer per la prima volta. Il film tratto dal romanzo di Akunin sarà un film leggero e crudele al tempo stesso.
Ha visto Basic Instinct 2?
Sì. L’ho rifiutato perché non volevano consentirmi di chiamare di nuovo Michael Douglas. Tutto doveva concentrarsi sul personaggio di Sharon Stone e io non ero d’accordo. Me l’hanno chiesto più volte, ma io non ero affatto disponibile. Del resto i produttori avevano sempre stimato troppo poco il ruolo di Michael in quel film. Sharon è stata brava, ma è stato Michael Douglas a darle l’opportunità di diventare davvero ‘grande’. Io volevo o Michael o qualcuno come lui. Una star da rispettare. Il produttore mi ha detto: “Ma abbiamo speso così tanto per Sharon che non abbiamo soldi per un’altra Star.” E io così ho lasciato perdere perché sapevo che si stavano scavando la loro tomba così. Cosa che puntualmente è avvenuta. Peccato perché la sceneggiatura non era, poi, così male. Soltanto che è stata realizzata in maniera assurda perché hai l’impressione vedendo il film che lei domini la scena vagando di qua e di là. Mentre con Michael Douglas si sarebbe trovata di fronte ad un tipo duro che l’avrebbe limitata.
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