“Robert Sheckley – ricorda il curatore di Urania - è venuto spesso in Italia, quindi, come tanti altri, l'ho conosciuto di persona. Questo, però, non ha aumentato la mia consapevolezza di lui: del suo lavoro non parlava volentieri, diceva di non ricordare neanche i racconti più celebri, sorrideva in modo disarmante e balbettava quando gli ponevi questioni tecniche della cui utilità dubitava fieramente. Credo che arrivato ai settant'anni e oltre il suo interesse per discutere di fantascienza fosse prossimo allo zero. Era invece sempre interessato alle sigarette, che gli bruciavano le dita, alle belle donne e a quello strano guardarsi intorno, come un uccello migratore capitato in contrade sconosciute. La sua difficoltà di parola non ne impediva la comunicativa ma nemmeno lo rendeva più loquace del necessario. Era fra noi come un guru, sapeva di esserlo e ci sopportava amabilmente, in cambio di pranzetti e bicchierini. Lo scrittore, invece, è tutto un altro discorso. Robert Sheckley è un genio, questo lo sappiamo fin dagli anni Cinquanta, e il tempo non ha minimamente scalfito la sua potenza. L'anno prossimo tradurrò per Urania una serie di racconti inediti e il romanzo breve Dimension of Miracles Revisited, per un numero celebrativo che dovrebbe uscire in dicembre, e il materiale che ho scelto conferma la grandezza sheckleyana fino in fondo. Il suo vero formato è il racconto. Nei romanzi ha prodotto risultati memorabili, ma lì dove non fallisce mai è nella short story.D'altra parte Sheckley – continua Lippi - non è semplicemente un autore di fantascienza: è una specie di illuminista, di filosofo dell'utopia, uno dei più lucidi scrittori newyorkesi del dopoguerra. Pur esprimendosi in un modo inconfondibilmente suo, cavalca molte culture e altrettanti modi espressivi: «arpeggia» tra i linguaggi possibili, mescolandovi un'intelligenza straordinaria e un sapere che non è solo americano. Le sue radici ebraiche traspaiono ma non assillano, come a volte accade nei comici di professione: Sheckley è veramente un uomo di mondo, potremmo dire un universale. Uno dei suoi temi principali è l'avventura dell'uomo del XX secolo - laico anche nel senso di sprovveduto - di fronte a problemi spirituali dei quali non ha più cognizione. La morte, Dio, l'universo, la società e le sue leggi, il sesso lo sfidano non perché egli meriti di essere messo alla prova, ma perché esiste, continua a esistere come uomo dei tempi nuovi - tempi alla deriva - e non ha più la preparazione necessaria a farlo. L'uomo svuotato, atomizzato, parcellizzato non è più in grado di comprendere la vita nel suo insieme, in quel poco o tanto di senso che ha o potrebbe avere, e affacciatosi alla finestra del cosmo vede il caos. È una specie di mistero buffo di cui Carmody, la squadra della AAA Asso e gli altri protagonisti sheckleyani – conclude il curatore di Urania - saranno testimoni in cento modi esilaranti e a volte atroci. Sheckley è un umorista del tipo più raffinato: non ride affatto dell'uomo e del suo smarrimento, ride perché sa che siamo dei sopravvissuti. Al tempo stesso, non è mai cinico: ha un grande rispetto per il piccolo uomo e i suoi valori. La situazione che dipinge è nera, ma l'amore per il prossimo, per la cultura, per il bello, per la musicalità dell'esistenza è in ogni sua pagina, pronta a balzar fuori come un invito a recuperare ciò che abbiamo perduto”.
Vittorio Catani, da scrittore, riconosce la grandezza di Sheckley che era un grande narratore, senza se e senza ma, al di là del fatto che avesse scelto la fantascienza come genere letterario con cui cimentarsi.
“Sheckley – racconta Catani - è stato uno dei miei miti, e ancora apprezzo enormemente la sua capacità di sintesi nella scrittura e i temi con i quali innovava la sf. Ricordo che durante i primi anni ’60 Roberta Rambelli, che curava Galassia, nei suoi editoriali citava spesso il «quartetto» dei suoi beniamini: Asimov, Simak, Pohl-Kornbluth e Sheckley. Io avevo anche altre preferenze, ma Sheckley per me era insuperabile: aveva le doti inventive di un Asimov, lo sguardo sul sociale di Pohl-Kornbluth, e in verità ben poco da spartire con Simak, ma la sua verve e il suo «graffio» erano unici, inconfondibili, superiori. La scrittura secca, senza fronzoli, diretta, priva di orpelli, di aggettivi, di descrizioni inutili, inquadrava immediatamente il tema e il carattere dei personaggi immettendoti subito al centro della scena. Roba da grandi professionisti. Il buon Robert si è anche rivelato, a posteriori, l’autore più profetico del quartetto. Racconti come Il prezzo del pericolo restano attualissimi. Potrei citarne molti altri. In genere Sheckley – continua l’autore de Gli Universi di Moras - viene definito un alfiere della social science fiction (in italiano, mal tradotto in fantascienza sociologica) ma a ben guardare il suo catalogo, di sociologico troviamo pochi titoli: il racconto già citato, Il costo della vita, L’Accademia, La decima (o La settima) vittima, La moglie perfetta, Pellegrinaggio alla Terra, Un biglietto per Tranai, e qualcun altro. In realtà egli era anzitutto uno «scrittore», poi uno scrittore che aveva scelto la fantascienza come strumento ideale per una satira divertente, ma amara impietosa e pungente della società e dei suoi totem e tabù. Quindi le sue storie – conclude lo scrittore pugliese - prendevano di mira i mass media, l’economia, l’amore, il matrimonio, il romanticismo da cartolina illustrata, la guerra, la tecnologia invadente, l’aspetto predatorio dell’umanità, la spinta all’omologazione e così via. Robert Sheckley? Un Grande Scrittore, punto e basta. A molti di noi, credo, piacerebbe ritrovare in libreria - magari ritradotti – tutti i suoi racconti più spumeggianti. Ma al di fuori di catalogazioni di genere. Come accade per un Vonnegut”.
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