I barbari del Texas
Questa è la storia che ha creato i miti di Howard e Conan. In questo, Howard si inserisce in una lunga tradizione di riscoperte americane dei mondi precapitalisti (dal medioevo all’antichità), a volte ironiche (pensiamo a Mark Twain), a volte nostalgiche, come ci ricordava il bel libro di Matteo Sanfilippo, Il medioevo secondo Walt Disney (Castelvecchi 1993). Ma le reinterpretazioni (potremmo aggiungere quelle musicali, nello heavy metal o nel progressive rock) di Conan, rispettose o meno, hanno sempre qualcosa di troppo coerente, troppo monolitico. E Howard era tutt’altro che un pensatore sistematico: un altro motivo, forse, per cui ci piace ancora. Proviamo a scegliere una strategia meno comune. Sappiamo che spesso una storia scritta da Howard con un protagonista viene trasformata a beneficio di un altro. Curiosamente, dunque, per un autore famoso come creatore di eroi, sembrano essere intercambiabili proprio gli eroi. Anche nelle opere fantastiche, questi eroi non hanno quasi mai capacità soprannaturali. Anche se i loro avversari sono dotati di poteri magici e hanno legami con dimensioni “altre”, aliene, i protagonisti di Howard rispondono con la spada, le mani e il cervello. Nelle storie, la lotta è sempre fra umano e metafisico, fra una pratica concretezza che porta con sé una forma di moralità e disegni incontrollabili sempre maligni e oppressivi. Come dice Delany in un’intervista, nella sword & sorcery inaugurata da Howard, quando si scoprono o si incontrano cose che sarebbe stato meglio non sapere, c’è da chiedersi se si stia parlando dell’inadeguatezza dell’umano rispetto al metafisico, o piuttosto di quella del sovrannaturale alle esigenze umane, incarnate da Conan e compagnia, con la loro ricerca di uno spazio di sopravvivenza, se non di un ideale. I personaggi sono tanti: oltre a Conan, abbiamo Solomon Kane il puritano inglese del Cinquecento, Kull re di Valusia, Bran Mak Morn il capo dei Pitti, il guerriero celtico Turlogh O’Brien, il gaelico Cormac McArt dell’era di Re Artù. il soldato di ventura Francis X. Gordon, detto “El Borak” (pistolero texano trasformatosi in avventuriero nell’Asia), il pugile marinaio Steve Costigan, il campagnolo Breckenridge Elkins di Bear Creek, Nevada, il pirata Black Vulmea, la russa Red Sonya di Rogatino, e altri.
Fra tutti i personaggi fantastici, Solomon Kane è il primo e il più cupo. Vestito di nero, alto, dal temperamento gelido, erudito (come il proverbiale sapiente da cui prende il nome) e violento (come Caino, a cui allude il cognome), dal pallore descritto come cadaverico e satanico, per questo spadaccino la ricerca di giustizia è l’ossessione di un “vero fanatico”, come si dice nel racconto che lo presenta, Red Shadows (1928):
“Per tutta la vita aveva vagato per il mondo aiutando i deboli e combattendo l’oppressione; non sapeva né si chiedeva perché. Questa era la sua ossessione, la spinta che guidava la sua vita”.Però, dice Kane nel postumo Blades of the Brotherhood, spesso le “piste della vendetta e della retribuzione”, perseguite incessantemente, lo rendono “consapevole di uno strano senso di futilità”. E in uno degli ultimi racconti, Ali nella notte (1932), la follia e la vendetta contro i crudeli torturatori diventano sinonimi. Nella fredda, laconica inespressività della sua caccia implacabile, Solomon Kane avrebbe forse riconosciuto un degno successore letterario nel Nicolas Eymerich di Valerio Evangelisti. Senza casa, senza sorriso e senza soddisfazione, Kane attraversa l’Inghilterra, l’Europa e l’Africa; digressivi racconti nel racconto (un’altra eredità stilistica di quella tradizione popolare orale in cui Howard era cresciuto?), per accenni e riferimenti abbozzano un passato che lo ha portato anche in America, e lo ha visto pirata, soldato di ventura, prigioniero dell’Inquisizione e, forse, innamorato. Nel suo peregrinare, Kane incontra stregoni e fantasmi, cannibali e uomini alati, vampiri e voodoo, in storie che vanno dall’avventura pura e semplice all’orrore e alla ghost story più classica.
Proprio in questa flessibilità Howard dimostra un mestiere immenso, infinitamente superiore a contemporanei di gran successo come Edgar Rice Burroughs che, a prescindere da personaggi e ambientazione, riciclano sempre lo stesso sfondo. Come pochissimi altri in quegli anni (A. Merritt, H.P. Lovecraft), gioca fra i generi fantastici, rimescolandoli e reinventandoli; la fantascienza inizierà a farlo poco dopo, con Stanley Weinbaum. Anche dalla necessità, in caso di rifiuto, di saper modificare un racconto, per la stessa rivista o un’altra, nasce l’abilità di combinare motivi narrativi di origine disparata, di trasferire un personaggio da un contesto all’altro, o meglio di avere personaggi sufficientemente plastici da poter essere utilizzati nei diversi contesti. Giustapponendoli attraverso i protagonisti, Howard riprende generi ormai invecchiati e costruisce un “mutante” letterario; a cristallizzarlo provvederanno i successivi imitatori della fantasy commerciale.
Fra i racconti di Kane, due immagini da Teschi dalle stelle (1929) e La luna dei teschi (1930): nel primo, un’efficacissima, breve ghost story, il fantasma scatenato dall’ingordigia oppressiva dell’avaro nel villaggio inglese; nel secondo, un barocco romanzo breve di ambientazione africana, la comparsa di un gruppo di discendenti di schiavi di Atlantide. Di tutti i secondary worlds (per dirla con Tolkien) di Howard, una cosa è certa: non si tratta di puro escapismo. Al contrario, al loro centro sono i conflitti e gli squilibri di potere — e la necessità inevitabile (anche se, talvolta, riluttante o semplicemente inspiegata) di prendervi parte.
Allora, l’ipotesi sarà che Howard, da innovatore della scrittura western, trasporta nei suoi mondi le tensioni che lo scrittore — parte della rinascita liberal dell’età di Roosevelt ma completamente estraneo ai centri letterari, culturali ed economici —s tava trovando nel Texas della Depressione. Per trovare la stessa intensità disincantata, la letteratura americana sul West avrebbe aspettato Cormac McCarthy e Joe Lansdale (autore, fra l’altro, della prefazione all’ultimissima biografia su Howard, Blood and Thunder: The Life and Art of Robert E. Howard di Mark Finn, Austin, Monkeybrain Books, 2006), o autori native come James Welch, tutti spesso ai confini dell’orrore e del fantastico.
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