Per festeggiare i suoi cinquant'anni di vita New Scientist, rinomata rivista di attualità scientifica, ha pensato bene di chiedere a 70 figure di spicco della ricerca contemporanea come potrebbe presentarsi il mondo agli occhi di un uomo tra cinquant'anni. Le estrapolazioni sono state raccolte in tre macrocontesti interdisciplinari (vita, spazio e tecnologia, scienze fisiche) e spingono lo sguardo in profondità nel nostro domani, riservandoci più di una sorpresa.
Partiamo da quello che attiene la nostra vita, intesa sia come proprietà emergente della materia che come usanze e abitudini. Nel 2056 saremo riusciti finalmente a instaurare un contatto di qualche tipo con una specie di vita extraterrestre? E saranno state svelate le basi della coscienza? O, come minacciano alcuni scienziati, cominceremo a vedere significative avvisaglie di una futura differenziazione evolutiva? Steve Squyres, docente di astronomia alla Cornell University di New York e tra gli ideatori del programma di esplorazione marziana della NASA, si mostra molto diplomatico: se anche venissero trovate tracce di vita su Marte, la scoperta non sarebbe tanto sconvolgente come si potrebbe pensare, considerata la frequenza con cui nel passato si sono succeduti scambi di materiale con il nostro pianeta. Non sarebbe insomma un dato straordinario, trovare resti di batteri e altri organismi unicellulari su un mondo a noi vicino. Ben altro impatto avrebbe la scoperta di vita al di fuori del Sistema Solare, perché con ogni probabilità significherebbe che ha subito un'evoluzione del tutto indipendente e aliena dalla Terra, il che aprirebbe un bel po' di prospettive considerato il numero di pianeti potenzialmente adatti ad ospitare la vita solo nella nostra galassia. Nei mondi vicini a noi, segni fossili di vita potrebbero essere conservati nell'antico permafrost marziano ma non solo: secondo Chris McKay potrebbero trovarsene anche sulla superficie di Europa, vicino ai geyser di Encelado oppure negli oceani di metano liquido su Titano. Per esempio i getti osservati dalla sonda Cassini sulla superficie di Encelado, una piccola luna di Saturno, secondo la direttrice della missione Carolyn Porco potrebbero provenire da falde acquifere sotterranee: solo nuove indagini condotte con sonde automatiche o, nel caso di Marte, da future missioni umane potranno verificare la fondatezza delle speranze attuali. O addirittura altre forme di vita potrebbero nascondersi più vicino di quanto saremmo disposti a credere: proprio qui in mezzo a noi, sulla nostra cara e vecchia Terra, potrebbe infatti essersi sviluppata una sorta di biosfera segreta, nascosta in profondità nella crosta terrestre o in altri luoghi ancora in larga misura inaccessibili, dai ghiacci antartici alle fosse oceaniche. La scoperta che non tutte le forme di vita sulla Terra hanno una comune origine di sicuro riuscirebbe indirettamente ad avvalorare la possibile esistenza di altre forme di vita nell'universo: lo sostiene Paul Davies, per il quale l'origine della vita resta ancora uno dei più grandi misteri della scienza.
La scoperta di vita extraterrestre altrove nell'universo, rincara la dose Piet Hut dell'Institute for Advanced Study di Princeton, rappresenterebbe una svolta epocale non solo per quel che concerne l'astronomia, ma anche per la biologia, la filosofia e la cultura in generale. Tracce indirette relative alle basi chimiche della vita potrebbero essere individuate grazie all'analisi dello spettro di radiazione delle stelle, ma ancora più strabiliante sarebbe la scoperta di vita intelligente grazie al programma SETI, ormai attivo da diversi anni. Difficile comunque stimare se nei prossimi cinquant'anni si arriverà a qualche risultato utile. Di certo, se finora non sono stati raccolti dati significativi, significa solo che la vita è meno diffusa di quanto potessimo aver creduto in un primo momento, e non di certo che l'universo è un posto ostile alla vita: lo crede Freeman Dyson, professore emerito a Princeton, secondo il quale una clamorosa scoperta, possibile entro il 2056, potrebbe servirci per indirizzare meglio i nostri sforzi e addirittura per rivalutare le più antiche convinzioni sul nostro posto nel cosmo. Perché, malgrado quello che potremmo essere indotti a pensare sfogliando un qualsiasi catalogo scientifico, perfino sul nostro mondo ne sappiamo ben poco: la maggior parte delle specie viventi non sono ancora state classificate, ricorda Edward O. Wilson, per cui i progressi nella mappatura della biodiversità globale potrebbero riservarci importanti sorprese.
Ma l'impatto ambientale dell'uomo potrebbe vanificare gli sforzi: serve una severa sterzata, un cambio di rotta deciso, come ammoniscono Jane Goodall e Robert May, affinché le istituzioni cooperino per limitare al minimo le conseguenze dell'interazione del sistema-uomo con l'ambiente. La scoperta più significativa dei prossimi cinquant'anni per Bill Joy (co-fondatore della Sun Microsystems, attualmente impegnato nel campo delle fonti di energia rinnovabile) potrebbe riguardare una fonte di energia pulita, sicura ed economicamente conveniente rispetto alle risorse tradizionali, che magari potrebbe essere legata alla scoperta di effetti fisici su scala nanometrica che ancora ci sono sconosciuti. E Joy non è il solo a credere che le nanotecnologie potrebbero giocare un ruolo decisivo nel nostro futuro: la ricerca sui meccanismi di protezione molecolare ai danni accidentali (errori di trascrizione genetica, guasti da ossidazione, etc.) secondo Richard Miller potrebbe consegnarci le chiavi di un trattamento farmacologico finalizzato all'estensione della vita. Per Francis Collins riusciremo a trovare nel prossimo futuro il punto di equilibrio tra la crescita cellulare che degenera in cancro e la distruzione delle cellule che invece porta alla vecchiaia: potremo quindi riprogrammare geneticamente il nostro codice della vita, cosicché la domanda di maggiore attualità cui la società umana del 2056 dovrà trovare una risposta non sarà più "Quanto a lungo possiamo vivere noi uomini?", bensì "Quanto a lungo vorremo vivere?".
Se anche non dovessero essere debellati tutti i fattori che incidono sulla mortalità, grazie agli studi che John Halpern dell'Harvard Medical School conduce ormai da qualche anno sull'uso terapeutico di LSD e psilocibina si potrebbe comunque contrastare l'atavico timore che avvolge da sempre l'evento della dipartita. Le cosiddette "droghe psichedeliche" potrebbero infatti ampliare gli orizzonti dell'uomo, valorizzando la dimensione spirituale delle esperienze interiori, e allo stesso tempo rivelarsi utili come rimedio ad ansietà, emicranie e anche alle tossicodipendenze. Simon Conway Morris si spinge oltre e ipotizza che per il 2056 sarà provata la natura dei processi cognitivi come stati emergenti da ogni rete neurale, perfino in strutture vegetali, e conseguentemente dell'intrinseca interrelazione delle coscienze dell'intero universo. Un'idea rivoluzionaria, che getterebbe le basi per un superamento del dualismo cartesiano tra mente e materia e che potrebbe condurre a ulteriori rivelazioni sulle origini di immaginazione, intuizione, astrazione e forse addirittura della precognizione. Antonio Damasio del Brain and Creativity Institute della University of Southern California è convinto che importanti progressi interesseranno i campi della neurobiologia molecolare e dei sistemi di comportamento e conoscenza. Fantascientifico il futuro prospettato da Elizabeth Loftus, da trent'anni attiva nella ricerca sui meccanismi di alterazione della memoria umana. Attraverso il potere della suggestione è riuscita a instillare interi blocchi di falsi ricordi, ma non è niente rispetto a quello che potrebbe diventare possibile tra cinquant'anni. Finalità teraupetiche giustificano la ricerca in questo campo, ma anche meno nitide manovre politiche. Per questo occorrerà sensibilizzare la gente alle problematiche del controllo, per evitare di vedere degenerare la società in preda a nuove e più occulte forme di totalitarismo.
Sorprese meno minacciose potrebbero venire sul fronte dell'evoluzionismo. Secondo Geoffrey Miller, per esempio, la psicologia evoluzionistica applicata potrebbe minare attraverso la critica darwinista le basi delle società basate sul consumismo d'impronta capitalistica. Gli studi sulle necessità umane e sull'importanza di supporto familiare, vicinanza e integrazione generazionale nella sfera privata potrebbero rivoluzionare anche i nostri panorami urbani, svuotando le città e in particolar modo le periferie, e privilegiando le comunità minori come piccole città a dimensione d'uomo. E per finire la scienza potrebbe uccidere finalmente la religione, non estinguendo la fede, bensì scongiurando i rischi sempre più concreti delle derive oscurantiste e dogmatiche, a favore di una più pratica e umana disciplina morale universalmente condivisa. Una filosofia etica naturalista finirebbe così per sostituire le radici teologiche delle morali religiose, traghettando l'umanità verso un nuovo Illuminismo.
Erik Horowitz suggerisce che la prossima rivoluzione computazionale potrebbe avere una portata paragonabile alla Rivoluzione Industriale, con un impatto addirittura maggiore su scienze sociali, economia, scienze e cultura. Nei prossimi cinquant'anni, nella nostra vita quotidiana faranno il loro ingresso in numero crescente sistemi pensanti automatizzati che percepiremo come "intelligenti". Sistemi di traduzione e interpretazione agevoleranno gli scambi culturali e la collaborazione, e alla morte potremo decidere di sopravvivere come simulacri artificiali, lasciando ai cari dei costrutti che riprodurranno la nostra estinta personalità attingendo a banchi di memoria con i nostri ricordi, le nostre riflessioni e le nostre esperienze di vita digitalizzate su un supporto informatico. Rodney Brooks sottolinea che l'approdo alla tanto attesa prima Intelligenza Artificiale potrebbe passare attraverso un approccio diffuso al problema del riconoscimento di un oggetto generico, in maniera da permettere ai computer di eseguire processi di astrazione, passando dal particolare al generale e viceversa. Questo avrà sicuramente impatto anche sul nostro accesso ai dati: i motori di ricerca saranno sempre più evoluti e sofisticati, secondo Peter Norvig, arrivando a formulare autentiche sintesi e a organizzare i contenuti.
Attualmente l'elaborazione dell'informazione si compie manipolando elettroni in due dimensioni. Un salto di qualità significativo potrebbe avverarsi con la messa a punto di dispositivi in grado di usare lo spin di elettroni e fotoni come portanti d'informazione in strutture tridimensionali auto-assemblanti. A quel punto, secondo Frank Wilczek, macchine quantistiche con un'intelligenza sovrumana diveranno comuni. David Deutsch, pioniere della computazione quantistica, è convinto che non dovremo attendere ancora a lungo prima di vedere il primo computer quantistico. La messa a punto di un dispositivo simile rivestirà un ruolo di importanza cruciale non solo sotto il profilo pratico della semplice applicazione (che sarà comunque significativa, anche se notevolmente specializzata, ristretta alla crittografia e alla simulazione di sistemi quantomeccanici), ma soprattuto perché comporterà un'autentica rivoluzione cognitiva. Deutsch, come molti altri suoi colleghi, crede infatti che il funzionamento dei processori quantistici sarà reso possibile dalla condivisione dell'informazione e dalla ripartizione dei processi elaborativi tra diversi universi paralleli. E come comunicheranno tra loro i computer del futuro? Attraverso il teletrasporto quantistico, ovviamente. Parola di Anton Zeilinger, docente di fisica presso l'Università di Vienna.
La meccanica quantistica di sicuro sarà coinvolta nella prossima rivoluzione concettuale, che Carlo Rovelli dell'Università del Mediterraneo di Marsiglia auspica condurrà, attraverso la conciliazione con la relatività generale, a una sintesi organica e unitaria. E un contributo decisivo in questa direzione, ribadisce Lisa Randall, potrebbe venire dal Large Hadron Collider (LHC), il gigantesco acceleratore di particelle del CERN di Ginevra che potrebbe illuminarci sulla vera natura dello spazio e del tempo. Gerard 't Hooft, pioniere del paradigma olografico che vede l'intero universo come un complesso sistema d'informazione, spera che i prossimi anni ci condurranno a una matematica capace di descrivere deterministicamente l'evoluzione dell'universo, passando sempre attraverso l'integrazione della meccanica quantistica con la teoria della gravità.
J. Richard Gott auspica che entro il 2056 l'uomo sarà riuscito a impiantare una colonia stabile su Marte: sarebbe questo un evento epocale, capace di cambiare la storia del mondo, se non altro perché da quel punto in poi non si tratterebbe più solo della storia di questo mondo. Una colonia su Marte significherebbe tutelare l'umanità dal rischio di un'estinzione accidentale, ma potrebbe anche portare a un'accelerazione della corsa allo spazio. Magari, giusto per tenerci bassi, impareremo anche a sfruttare almeno un centesimo dell'energia che ogni istante piove dal Sole sulla Terra e che, sottolinea Wilczek, è diecimila volte più di quanta ne usiamo.
Scienze, tecnologia e vita di tutti i giorni usciranno rivoluzionate dall'impatto di questi possibili fattori. Ma sul versante meno pratico (ma ne siamo poi così sicuri?) della matematica pura, siamo proprio certi che i nostri libri non cambieranno entro i prossimi cinquant'anni? Marcus du Sautoy si augura che la prossima generazione di matematici riesca laddove tutti gli studiosi hanno finora fallito: vale a dire l'identificazione di uno schema definito nella ricorsione dei numeri primi, quei numeri indivisibili che sono i mattoni dell'universo. Tutti i numeri possono infatti essere scritti come il prodotto tra numeri primi, ma i numeri primi non hanno una collocazione precisa e, almeno al momento, predicibile. Ma strane risonanze sono state rilevate dagli scienziati tra i livelli energetici dei nuclei pesanti di elementi come l'uranio e i numeri primi, la qual cosa potrebbe indicare una direzione alla ricerca dei prossimi anni. E un ruolo importante potrebbe essere giocato, secondo Benoit Mandelbrot, anche dai frattali, che riescono a descrivere fenomeni diversi che vanno dalla scienza dei materiali alla finanza, dalla turbolenza alla musica...
Insomma, i possibili sviluppi indicati da tutti questi scienziati e dai loro colleghi nei rispettivi campi di ricerca schiudono la porta a sviluppi emozionanti e sconvolgenti per i prossimi decenni. Se anche solo una minima parte di queste estrapolazioni dovesse verificarsi, ci ritroveremo presto a vivere in un mondo che potrebbe somigliare da vicino alle proiezioni fantasiose di uno scrittore di fantascienza. Che sia un futuro piacevole (come per gran parte delle prospettive delineate) oppure pericoloso (come denunciato da altre), forse la fantascienza potrà comunque fornirci i codici comportamentali di riferimento utili a sopravvivere.
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