Partito di slancio nel 2001, scivolato due anni dopo tra i tanti problemi di un seguito trascurabile, Devil May Cry ha ritrovato se stesso solo nel 2005 con la pubblicazione del terzo episodio, di cui questa Special Edition rappresenta il naturale tributo a uno dei migliori titoli della stagione Playstation 2. Azione spettacolare come non si gusta spesso, sistema di gioco gratificante, vera passione per le soluzioni visive più esagerate e stravaganti: Devil May Cry 3 è un concentrato di fantasie digitali. Un po' fumetto, un po' film divista, un po' kolossal di animazione sospeso tra la voglia di interattività e follie tridimensionali, racconta – come ormai consuetudine quando si prospetta l'idea di risollevare le sorti di una serie dal futuro traballante – le origini del mito.
Quel mito è Dante, mezzo uomo e mezzo demone, figlio del Prometeo di una leggenda più gotica, come goticheggiante è il decadente paesaggio metropolitano pseudo contemporaneo dove si svolge l'avventura, alla corte di creature diaboliche sputate dall'inferno e all'ombra di un'imponente torre di Babele, ricettacolo di ogni male. Il prologo è anche l'occasione per Capcom di insistere sugli aspetti che hanno fatto subito del suo eroe un personaggio riconoscibile e carismatico. Da giovane, Dante può essere ancora più sfacciato e arrogante di quello che si ricordava. Così l'eroe meno vissuto e più sbarbatello non si limita a congelare gli avversari con fulminei anticlimax, come avrebbe fatto poi da grande, ma ama protrarre i suoi siparietti all'interno del circolo vizioso della più beata incoscienza, giocando al gatto e al topo coi colossi di Belzebù tra capriole, salti mortali e altre smargiassate da novello Superman in versione rock star.
I fotogrammi di Devil May Cry 3 sono tutto un ricettacolo febbricitante di iconografia oltre i limiti. I grandiosi momenti filmati si devono all'estroso talento di Yuji Shimomura, coreografo di scene di azione prestato dal cinema ai videogame. Ma l'aspetto che più stupisce di questo Devil May Cry è il senso di continuità riscontrabile tra gioco e non gioco, e di nuovo tra i diversi istanti che compongono le sezioni interattive, inno alle arti marziali lette come danza sfarzosa e fluente. Una danza che, nel titolo Capcom, sceglie di sposare i movimenti di atmosfere techno elettroniche piuttosto che l'armonia - ad esempio - della Tigre e il dragone, senza tuttavia disconoscere nel suo scorrere una sua coerenza.
Tutto il sistema di lotta si basa sull'abilità del giocatore nel fondere in maniera vistosa e rigorosa – che nel videogame equivalgono anche a efficace e remunerativa – i vari stili di combattimento che Dante può approfondire nel suo viaggio sulle tracce del fratello Vergil, la nemesi a cui, come esclusività della Special Edition, è dedicata un'avventura speculare. Si tratta di rivisitare gli stessi luoghi esplorati col primo protagonista utilizzando l'antieroe della storia. Se da una parte cambia l'azione, dall'altra manca però una vera struttura narrativa che giustifichi questo secondo cammino, nel quale Capcom si limita grossomodo a eliminare le vecchie sequenze di intermezzo.
Concludono la carrellata degli extra un nuovo livello di difficoltà furbetto particolarmente impegnativo, un'arena per gare di sopravvivenza, l'opzione per aumentare ulteriormente la velocità dei combattimenti e il cinema virtuale dove riguardare all'infinito i filmati del gioco. Il resto - sebbene lontano dai tecnicismi portati all'estremo di Ninja Gaiden - è solo uno dei videogame di azione più riusciti degli ultimi anni. Sinceramente arcade, scorbutico, eclettico e viscerale. Di quelli che fanno di amore e odio potenze direttamente proporzionali.
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