Più recentemente, il genere ha finito con l’assumere contorni più sfumati, contaminandosi con altri generi e percorrendo strade differenti; la serie di Myst, ad esempio, ricorda le maestose atmosfere di alcuni romanzi di Ursula K. Le Guin, mondi a cavallo tra scienza e magia che si schiudono davanti ai nostri occhi, mentre da un momento all’altro ci si aspetta di vedere stormi di dragonieri planare direttamente dalle pagine delle opere di Anne McCaffrey. Fallout ci riporta bruscamente alla realtà, risvegliando l’incubo post-atomico che aveva popolato buona parte della fantascienza dagli anni cinquanta fino agli anni ottanta, quando la caduta del Muro di Berlino fece cadere anche il mito della guerra nucleare, lasciando purtroppo spazio all’incubo del terrorismo globale. Anche la fantascienza italiana ha il suo breve momento di gloria con Nirvana, un adventure che si discosta dalla classica licenza cinematografica convertita in videogioco e tenta un approccio leggermente staccato anche dai canoni classici, riuscendo in ciò dove il film di Gabriele Salvatores aveva invece fallito. Curioso come le atmosfere di parecchi di questi giochi rimandino ai primordi della fantascienza, a un modo di intendere l’avventura in senso “verniano”, lasciandosi stupire dalle meraviglie che man mano i mondi fantastici rivelano agli occhi del giocatore. Non è curioso, invece, il fatto che proprio questi giochi si avvicinino più di tutti al testo scritto di un romanzo, per l’intensità della trama che ne fa da colonna portante.
Giochi strategici
La metafora più calzante per descrivere gli strategici, a turni o in tempo reale, è probabilmente quella dei soldatini. Omini di plastica colorata ricercatissimi da chi era bambino a cavallo degli anni 70, che arrampicati sui mobili o stesi sui tappeti permettevano di costruire con la fantasia intere epopee. La tecnologia ha sostituito la plastica con i pixel, ma non ha cambiato la struttura, e soprattutto l’idea di base: costruire, combattere, impostare il proprio destino. I gradi di libertà di cui godono questo tipo di giochi permettono agli utenti di sbizzarrirsi nello sperimentare nuove soluzioni a problemi antichi; un po’ come scriversi da soli il proprio romanzo, oppure girare un personalissimo film di cui siamo al tempo stesso registi e protagonisti, autori e fruitori. In alcuni casi addirittura demiurghi, come nella serie famosissima di Civilization, giochi a metà tra lo strategico a turni e il manageriale, in cui prendiamo in mano una civiltà e ne forgiamo il destino fino a portarla nello spazio profondo, in un percorso accelerato lungo la scala del progresso tipico di certe saghe fantascientifiche dell’età dell’oro. Strategici come Imperium Galactica lasciano nelle mani del giocatore la possibilità di scoprire nuovi mondi, contattare nuove razze aliene, commerciare con loro o battersi per la costruzione di un impero più potente e vasto di quello degli avversari. Mentre un gioco come Outpost ci mette al comando di una spedizione coloniale impegnata nella terraformazione di un nuovo mondo, da rendere ospitale per la vita umana; tra l’altro, proprio questo gioco, nel suo secondo capitolo, presenta un interessante esperimento di contaminazione al contrario, con la produzione addirittura di un romanzo “vero” ispirato alle sue vicende, precedendo così in un certo senso la moda di ispirarsi ai videogame per le produzioni cinematografiche. La parte del leone degli strategici la fanno però sempre i combattimenti, in fondo il vero motivo per cui si giocava con i soldatini: il capostipite Dune, sempre rilasciato da quella fucina di idee dei Westwood Studios, portava sui monitor l’universo degli Arkonnen e degli Atredeis della saga di Herbert, facendoci rivivere l’emozione delle dune sabbiose e delle sofisticate tattiche di corte. I successivi Earth 2150 e soprattutto Total Annihilation centravano invece tutta l’attenzione sulle battaglie, rese frenetiche e incessanti da una gestione pronta a scattare al secondo; in ciò riprendevano alcuni temi di certa fantascienza di guerra che ha in Starship Troopers di Robert Heinlein un modello di riferimento (non a caso approdato anch’esso di recente nel mondo videoludico).
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