Il prototipo dell’eroe solitario è anche alla base dell’altra categoria di giochi d’azione, la cui invenzione non ha però alcun debito verso altre forme espressive. Parliamo dei First Person Shooter, sparatutto nei quali l’immedesimazione del giocatore viene amplificata all’ennesima potenza dalla visualizzazione in soggettiva. Il giocatore si aggira in un intero mondo tridimensionale, imbracciando la propria arma, proprio come farebbe nella realtà; è costretto a saltare gli ostacoli, aprire porte, scrutare nel buio di nascondigli incerti. In questo caso, gli fps hanno sfruttato fin dall’inizio le tematiche care alla science fiction per generare una solida attrattiva. Dal capostipite Wolfstein 3D, che suggeriva atmosfere da storia alternativa al mitico Doom, con il quale si passa al fantahorror deciso, questi tipo di game sono forse più attenti ai percorsi sviluppati dall’immaginario fantascientifico, dovendo dare in pasto al mercato una certa variabilità inserita in un concept basico e fisso (spara-avanza-spara).Così se in Quake si riprendono le atmosfere gotiche di certa fantascienza anni 70, nel suo seguito Quake II la fantascienza si fa hard, puntando le carte sull’estrapolazione tecnologica. Mentre in Unreal, il sottofondo è costituito dalle influenze new age che a partire dagli anni 90 pervadono parte delle opere letterarie sf. (come nell’interessante Stazioni delle maree di Micheal Swanwick), nel poco conosciuto ma intrigante Requiem: Avenging angels si intrecciano cyberpunk e tematiche religiose. Si arriva al 1998, con la svolta di Half Life: per la prima volta il punto di partenza di uno sparatutto non sta nella grafica, nelle armi o nei nemici, ma nella storia. Marc Laidlaw, attivo scrittore di fantascienza e altro, costruisce un intreccio nel quale il giocatore si sente realmente parte di un evento più grande di lui, in cui si mescolano X-Files, teoria delle cospirazioni, survival game, estrapolazione scientifica ed esplorazione di nuovi mondi. I personaggi non giocanti (NPC) non si limitano a fare da bersaglio o da belle statuine, ma si animano e compiono azioni logiche, rivelando dettagli e particolari della storia, restituendo il realismo delle situazioni nelle quali il giocatore è protagonista di alcuni eventi e spettatore di altri. Non più dominus assoluto dell’universo di gioco, invincibile guerriero, ma essere di carne e sangue, che commette errori e cade in trappole, che a volta impone e a volte si vede imporre. È il punto di contatto più alto tra fps e letteratura, che sarà inseguito con alterne fortune in praticamente tutte le produzioni successive, anche quando ritornano nell’alveo dello sfruttamento commerciale di un filone (vedi Alien Vs. Predator). Anche l’osmosi tra cinema fantascientifico e fps si materializza come pura questione di marketing; la volontà di sfruttare il successo di alcuni videogame porta alla realizzazione di film quasi sempre mediocri, come i vari Mortal Kombat e Wing Commander. Neanche gli sparatutto si salvano dallo scempio, pur avendo in sé elementi di spettacolarità e di azione che potrebbero ben figurare sul grande schermo se supportati da una storia degna di tale nome. Ne sono esempi il già citato Alien vs. Predator e il recentissimo e appena decoroso Doom, nel quale si salvano solo la potente presenza scenica di The Rock e la strepitosa sequenza di quattro minuti in soggettiva, che rende finalmente giustizia alle dinamiche di un gioco che ha segnato un’epoca.
Avventure
Il mistero, la ricerca, l’ingegno: sono questi gli elementi fondanti di un genere che sui primi game-computer era puramente testuale, lasciando all’immaginazione tutto il resto. L’evoluzione tecnologica ha rivestito e reso sgargiante il contenitore, influenzandone in parte anche il contenuto. Se nei giochi d’azione ci sono gli echi della fantascienza più avventurosa e spensierata, negli adventure si rispecchia il lato speculativo del genere, la capacità intrinseca di generare idee e concetti, la sfida della genialità umana nei confronti del mistero del cosmo. Non che l’azione e i combattimenti ne manchino, ma restano subordinati allo sviluppo di una storia che si pone un inizio e un finale (o più finali). Anche in questo caso convivono fenomeni commerciali e idee originali. Così, a fronte di adventure ispirati a film e saghe di successo come quella di Indiana Jones e i soliti Star (Wars, Trek, Gate…), peraltro alcuni di ottima qualità, si fanno strada progetti la cui originalità risiede in parte nei contenuti e in parte nella realizzazione. Così l’indimenticabile The Dig, avventura spaziale a cartoni animati su un asteroide che minaccia la terra, riflette tutta la voglia di sognare e la tecnica di raccontare del suo ideatore, tale Steven Spielberg, mentre il lontano The Orion Conspiracy ci trascina in atmosfere da giallo investigativo alla Isaac Asimov su una lontana base planetaria. L’originalità di un autore come Harlan Ellison si riflette nel gioco tratto da uno dei suoi racconti più famosi, vincitore di Premio Hugo, I have no mouth and I must scream, mentre dai mitici Westwood Studios arriva Blade Runner, altra grandiosa avventura grafica che non volendo (o non potendo per motivi di copyright) riprodurre la trama del romanzo di Piliph K. Dick o del film di Ridley Scott, racconta una storia parallela ambientata nello stesso contesto, riuscendo a innovare pur mantenendosi fedele allo spirito delle opere da cui trae origine.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID