La voce dei morti lungo le strade della notte: bruciando Chrome
L’opera forse più significativa dell’intera produzione gibsoniana è l’antologia La notte che bruciammo Chrome, che raccoglie tutti i racconti scritti negli anni Ottanta insieme alla sua opera di esordio, una massa critica di idee e stile che condensa praticamente l’essenza del cyberpunk. Il primo racconto di Gibson è Frammenti di una rosa olografica (Fragments of a Hologram Rose), apparso nel 1977 su una rivista di fantascienza che ebbe breve durata editoriale: “UnEarth 3”. Il protagonista è un sopravvissuto scampato a un conflitto futuro, che dopo la dissoluzione del potere centrale vive con altri profughi in una immensa baraccopoli a ridosso del confine messicano. Se lo scenario socio-politico è già di per sé interessante, con il ribaltamento di prospettive tra il Texas e il Messico, ancor più intrigante è la tecnologia di uso comune in questo mondo post-apocalittico, dominata da dispositivi elettronici per l’intrattenimento: servendosi di ipnoinduttori, il protagonista tende a sperimentare immersioni sempre più lunghe nella realtà virtuale di nastri comprati sul mercato nero, disaffezionandosi progressivamente dalla carne e dai sensi del suo corpo organico. Come si vede, nella manciata di pagine di questo racconto sono già concentrate una buona parte delle intuizioni che diventeranno poi il marchio di fabbrica del cyberpunk. Dopo alcuni anni di silenzio, Gibson torna a pubblicare nel 1981, riscattandosi con ben cinque titoli. Su “Universe II” e su “Shadows” compaiono rispettivamente Il continuum di Gernsback (The Gernsback Continuum) e La razza giusta (The Belonging Kind), quest’ultimo scritto in collaborazione con John Shirley (altro personaggio di spicco del cyberpunk, musicista rock e sceneggiatore cinematografico, nel suo curriculum vanta romanzi come La musica della città vivente, la trilogia Eclipse dalla marcata connotazione politica e il film culto Il Corvo). “Il continuum di Gernsback”, incluso anche in Mirrorshades, l’antologia-manifesto del movimento curata da Bruce Sterling, vede un fotografo alle prese con un servizio su architetture retrofuturistiche: opere che al momento della loro realizzazione incarnavano il sogno del futuro per i loro realizzatori, e che poi sono finite tristemente superate dai tempi. Il problema comincia a sorgere quando il protagonista si vede circondato dai manufatti di una realtà alternativa in cui il futuro immaginato dai suoi antenati ha effettivamente acquisito corpo e sostanza, e si trova così sbalzato in un mondo parallelo di palazzi in stile Metropolis e oggetti aerei che sembrano usciti dalle copertine di Amazing. Si rende così conto di essere entrato all’improvviso in contatto con il continuum di Gernsback del titolo, una linea temporale generata in realtà dalle proiezioni dell’inconscio collettivo. Notevole è la consapevolezza critica che traspare dalle pagine di questo racconto, con la contrapposizione tra ottimismo positivista e disillusione postmoderna che assume la valenza di una dichiarazione d’intenti da parte dell’autore. La razza giusta è invece ambientato in un mondo molto più vicino al nostro, in un contesto metropolitano dove il protagonista, studioso di linguistica e teoria dell’interazione sociale, cerca di sfuggire alla noia frequentando locali notturni, scegliendoli in base alla probabilità di allacciare dei contatti sociali. Ma da riflessione sull’alienazione e sulle difficoltà di comunicazione dell’era contemporanea il racconto vira, con una svolta non perfettamente riuscita, sul surreale e il grottesco, trasformandosi in una storia di mutazioni e prese di coscienza. Molto più riuscito ma altrettanto enigmatico risulta invece Hinterland (Hinterlands), opera di interpretazione veramente difficile che si rifà per i toni e le atmosfere a un capolavoro dell’inquietudine fantascientifica, quel Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Arkadi e Boris Strugatzki da cui Andrei Tarkovsky ;;trasse il cult-movie Stalker ;;(1979). È il primo racconto in cui Gibson si confronta con il tema del contatto con un’altra intelligenza: che nella fattispecie è una intelligenza aliena al punto da non garantire nemmeno le minime concessioni relazionali su cui imbastire una comunicazione. Così, dopo la scoperta dell’Autostrada da parte di Olga Toyvevsky e la tragica quanto inattesa conclusione della sua missione, gli uomini si ostinano a mandare astronauti oltre le coordinate dell’Anomalia, recuperandoli poi insieme a imperscrutabili doni alieni. Il sacrificio (nel migliore dei casi temporaneo, nel peggiore permanente) della sanità mentale è il prezzo da pagare per questo gioco, in cui rientrano anche gli addetti al recupero, incaricati di accogliere gli astronauti di ritorno in un ambiente artificiale costruito su misura per ripristinare la connessione con la dimensione umana, dopo un viaggio nel cuore delle tenebre.
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