Paraworld è una delle sorprese di inizio stagione. Non ha dalla sua le grosse licenze per farsi notare né è esente da difetti, la maggior parte dei quali si potrebbe probabilmente correggere con una patch (sembra già in preparazione: www.fantascienza.com/magazine/servizi/8481/1). Ma Paraworld porta con sé anche idee fresche e interessanti, dettaglio non trascurabile – esperienza insegna – quando si tratta di strategici in tempo reale (real-time strategy, rts), nell'ultimo lustro piuttosto statici. Soprattutto, però, è un videogame divertente.

È arduo definire cosa sia divertente o meno. In tutti i campi. Per i videogame, poi, diventa anche più difficile, essendoci così tanti fattori in ballo da far girare la testa. Al punto che, paradossalmente, il divertimento – l’anima di un gioco – corre il rischio di passare in secondo piano rispetto al resto. Una discriminante più facile da individuare è invece ciò che limita il divertimento. Ed è da questa chiave di lettura che si può cominciare a parlare di Paraworld e della sua invenzione: l’army controller.

L’army controller è l’uovo di colombo, l’acqua calda degli strategici in tempo reale e risolve uno dei problemi più fastidiosi che hanno afflitto il genere per anni. E ogni problema, in un videogame, ostacola la percezione del divertimento. Quando ci si diletta con un rts classico, ci si trova a dover gestire un certo numero di pedine, impegnate spesso contemporaneamente e in luoghi diversi della mappa a svolgere una tra le varie mansioni dei tre macro-insiemi del genere: raccogliere, costruire, combattere. Per i motivi più disparati, da falle nell’intelligenza artificiale a black-out nella memoria del giocatore causati da multitasking forzato, non è raro perderne qualcuna, accanto al tempo passato a cercare, o semplicemente a domandarsi, dove si sia cacciata.

 

A Sek devono essersi stancati di setacciare la mappa con la solita tiritera e hanno aggiunto a Paraworld un’interfaccia grafica che permette di avere sotto controllo ogni singola unità al proprio comando.

Completamente aperto l’army controller occupa una porzione importante dello schermo, ma è modulabile e può essere nascosto del tutto in ogni istante con un clic. Su di esso, attraverso una serie di icone, sono raffigurati i vari componenti del proprio esercito, dal lavoratore al guerriero alle unità speciali, come gli eroi.

Con un colpo d’occhio si può conoscere in quale attività siano impegnati, il livello di salute e quello generale - con due clic li si raggiunge -, dato che i personaggi di Paraworld evolvono accumulando esperienza durante le battaglie, come nei giochi di ruolo. Tutte queste informazioni sono disponibili istantaneamente e per qualunque unità creata, indipendentemente dal fatto che in quel determinato momento la si controlli o meno.

L’efficacia dell’army controller è legata a una precisa scelta di game design, su cui si poggia per intero il videogame, e cioè di contenere il numero di personaggi gestibili contemporaneamente. Il tetto massimo è di cinquantadue, suddivisi in aree in base al livello, quindi al valore, dell’unità: venticinque per quelle di primo, quindici quelle di secondo, otto per il terzo, tre per il quarto e uno soltanto per il quinto, il livello d’élite.

Il giocatore è libero di decidere come organizzare le sue truppe negli spazi concessigli. Ciò significa, all’estremo, che nessuno vieta espressamente di far progredire un lavoratore fino al vertice della catena. Anche se la direzione più ovvia è quella che individuare tra gli eroi il soggetto adatto alla promozione definitiva.

Gli eroi sono le classiche unità speciali emancipate da processo di creazione per catena di montaggio, più caratterizzate rispetto alle altre e provviste di abilità esclusive in grado spesso di ribaltare da sole le sorti di uno scontro. Esiste inoltre tutta una serie di super milizie, via via più costose e micidiali delle regolari, pronte all’uso man mano che si migliora l’accampamento e si acculano risorse.

Nel complesso, lo spirito del gioco non si allontana dai capisaldi della scuola Age of (Empires o Mythology, se si preferisce il fantastico), dichiarando un taglio conservatore, fatto della terna raccogli, costruisci, combatti in misure molto simili a quanto mostrato in passato (anche se qualche particolare cambia, come i teschi, che si sommano a legna, cibo e pietre nello scodellone delle risorse da assicurarsi il prima possibile).

Dove Paraworld stacca la concorrenza è nell’ambientazione, l’elemento strillato fin dalla copertina. A grandi linee è un incidente fantascientifico tra Stargate e Jurassic Park, che alla lucidità formale privilegia i paradossi, in un racconto carpiato, tra esagerazioni pop e soluzioni naif, pieno di tripli avvitamenti. Personaggi e situazioni bizzarre abbondano. I tre protagonisti sono un chiaro biglietto da visita. Dovrebbero essere brillanti scienziati. Lo saranno pure, ma assomigliano più a Wolverine, a una modella di lingerie e al gemello romantico di Johnny Depp.

La sceneggiatura, scritta dal collettivo Men in Text insieme a Sek - col gusto delle vecchie, gommose produzione b -, li vede catapultati in una dimensione parallela popolata di dinosauri e indigeni (entrambi diverranno le unità dell’esercito del giocatore), nella quale non esiste elettricità e gli uomini non invecchiano. Purtroppo ci sono finiti perché una confraternita di luminari malvagi non vuole svelino al mondo la verità avvicinata coi loro studi. Per tornare a casa dovranno combattere. E intanto, perché no, liberare gli abitanti di Paraworld dal dominio degli invasori. Tra un’acrobazia con la tavola da surf e l’altra.