Ci voleva Tokuro Fujiwara, l’autore del titolo originale datato 1985, per rispolverare forse l’unica serie famosa di Capcom a essere rimasta fuori dai più intensivi meccanismi di sfruttamento commerciale, a cui la casa giapponese ha abituato i fan. Sono passati vent’anni dal primo Ghosts’n Goblins per console, al quale più che emanazioni dirette della saga – Ghouls’n Ghosts del 1988 e Super Ghouls’n Ghosts del 1991 - sono seguite conversioni per ogni piattaforma di gioco. Il videogame, però, è sempre stato lo stesso. Anche adesso che arriva portatile su Psp, nell’avventura definitiva Ultimate Ghosts’n Goblins.

Se la struttura ludica, nel suo complesso, non è cambiata marcatamente da allora, a cominciare dall’impostazione di gioco bidimensionale, in realtà la direzione di Tokuro Fujiwara ha fatto sì che il titolo evolvesse secondo un percorso netto, affascinante ed estremamente razionale. Un aspetto fondamentale della produzione è la volontà, l’onestà intellettuale di non snaturare un sistema di gioco che sarebbe stato difficile, se non impossibile, traghettare nelle tre dimensioni, come dimostra l’esistenza di un unico esperimento felice in questo senso: Metroid Prime.

Con Ultimate Ghosts’n Goblins gli sviluppatori non si sono tuttavia fermati alla mera riproposizione di schemi collaudati, ma hanno lavorato su tutti quegli elementi dove era ragionevole farlo.

Inserito l’umd del videogame nella Psp, la prima cosa che si nota è la ricercatezza grafica. Si è soliti oggi sminuire il valore di un impianto visivo importante, perché lo si crede – per logiche di business – inversamente proporzionale allo spessore ricreativo del progetto. In Ultimate Ghosts’n Goblins lo sforzo per catturare un’impronta visuale potente è un passaggio indispensabile nel tentativo, riuscito, di recuperare lo spirito del titolo originale. Al barocchismo naif degli anni ’80 si aggiungono così un fiume di poligoni in luogo dei bitmap, una regia dinamica dall’inflessione quasi 3D e un mare di effetti speciali formato cinema in tasca.

Insieme alla veste nuova a metà, il ritorno di Tokuro Fujiwara alle redini del progetto comporta tutta una serie di ritocchi al gameplay. É qui l’intelligenza di questa inappuntabile operazione nostalgia. Mentre molti si limitano malamente a traslare l’iconografia di un gioco nel prefabbricato di un altro, in Ultimate Ghosts’n Goblins si prova a ridiscutere l’organismo stesso dell’opera dall’interno. Il videogame è uno spietato incontro di azione sparacchina ed equilibrismo salterino, con il prode sir Arthur diretto alla volta dell’inferno, tra mostruosità di ogni tipo e altezza, per salvare dal demone supremo la sua bella, in una parodia horror demenziale del genere cavalleresco.

Oltre a un inedito livello di difficoltà per principianti - con gettoni infiniti e checkpoint - che umanizza la sfida feroce a cui erano chiamati i giocatori del 1985 (per i quali Capcom ha imbandito di sudore e sangue la modalità Ultimate), ci si destreggia sul campo con nuove figure di gioco, come il doppio salto, la facoltà di aggrapparsi alle sporgenze o esclusivi bonus volanti, capaci di offrire i mondi di Ghosts’n Goblins in una luce diversa da come si era abituati. Alcune – il doppio salto – addirittura ribaltanti e foriere di fascinazioni da sparatutto vecchia scuola. Esempio più eclatante dell’indole sorprendente della restaurazione rispettosa di uno straordinario classico dei tempi andati che ritornano in grande stile. Non era facile.