Siamo davanti alla massima forma di astrazione della realtà, dove questa viene intesa come trascendenza della materia e dell’energia nella pura informazione. Informazione: ecco a cosa si ridurrebbe la variegata complessità dei processi e delle leggi fisiche. E il nostro non sarebbe altro che un universo di informazione, i cui flussi e le cui fluttuazioni si estrinsecherebbero nel mondo dei sensi in cui viviamo immersi fin dalla nascita. Questa è un’idea che la fantascienza, con maestri del calibro di Philip K. Dick, Ursula K. Le Guin, James G. Ballard e molti altri, ha contribuito senz’altro a plasmare.
L’attenzione a temi di rilevanza scientifica dovrebbe essere una peculiarità della fantascienza, e lo scrittore dovrebbe aver acquisito una reattività immediata e istintiva capace di indurlo a riconoscere, come un rabdomante, le più promettenti tra le teorie in apparenza marginali e attualmente perfino eretiche. Altrettanto spiccata dovrebbe essere la sua lucidità critica dinanzi alla tecnologia e alla sua evoluzione, tale da trascendere l’orizzonte degli eventi del comune consumatore, fermo alla prossima generazione di cellulari o processori o motori a combustione.
Questa liberazione da ogni forma di condizionamento ascrivibile all’esposizione, più o meno prolungata e forte, ai meccanismi di controllo del mercato mass-mediatico, dovrebbe potersi estrinsecare non solo sui temi, ma anche sullo stile. Trame lineari, personaggi stereotipati e narrazione piatta ed elementare, oltre a svilire la nobiltà intellettuale del lettore, producono anche l’effetto deleterio di anestetizzare il suo giudizio critico: una volta abbassata a sufficienza la soglia della sopportazione, basterà un congiuntivo per farlo urlare di dolore. È necessario invertire il processo prima che sia troppo tardi. Occorre fare qualcosa, se non si vuole abbandonare la fantascienza alle forze della disgregazione.
Forse è giunto il momento di superare la tradizionale dicotomia tra l’esterno e l’interno, tra il senso del meraviglioso e la nostalgia del futuro, tra l’immaginazione e l’impegno. Auspico per questo una sintesi superiore, una fusione delle diverse istanze che non conceda un solo spiraglio all’evasione, al disimpegno, all’emulazione: bisogna ricominciare a percorrere con slancio rinnovato le rotte del futuro. Se credete, anche le vecchie macchine del tempo, la psionica, i viaggi iperluce e il teletrasporto possono essere rispolverati e rimessi in funzione, a patto che l’autore sia conscio della difficoltà insita nell’impresa che sta tentando, che richiede tutto il suo genio (del genio vero, autentico, oltre ovviamente a una dose di sana incoscienza) perché ne siano esplorate a fondo le potenzialità. Non ci sarebbe errore più grande e offesa peggiore alla dignità del genere e del lettore che sentirsi esonerati, nell’utilizzo di vecchi moduli, dall’indagine delle profonde relazioni che intessono l’ordito della realtà, delle complesse dinamiche dei processi fisici, politici e sociali, delle conseguenze escatologiche e delle implicazioni ontologiche che sono sottese a ogni serio fenomeno di analisi sull’evoluzione biologica e cognitiva dell’uomo.
Senza dubbio dovrebbero essere privilegiate tutte le tecniche di espressione (dalla citazione alla modulazione del registro, dalla sinestesia all’analogia, dal rimando al cut-up&fold-in) che sollecitano nel lettore una partecipazione attiva al processo creativo. Questa scelta ha non solo una ragione ideologica, ma anche una sua precisa valenza artistica. Sarebbe auspicabile un rilancio della vocazione sperimentale della fantascienza, il ritorno all’esplorazione dei confini spirituali dell’uomo, alla creazione di nuove mitologie ibride e all’ispirazione di livelli superiori di consapevolezza.
Mi piacerebbe che la fantascienza riacquistasse uno sguardo consapevole sul nostro domani: che è il domani della nostra specie, il futuro del nostro mondo. Di qui a qualche decade invenzioni straordinarie stravolgeranno la nostra sfera domestica: non possiamo aspettarci le intelligenze artificiali già prefigurate nel cyberpunk, la realtà saprà dimostrarsi molto più radicale. La tecnologia ci offrirà ogni anno che passa nuovi strumenti da maneggiare con cura, molto più letali e spietati di quelli già ora in circolazione. La folle corsa del progresso è in costante accelerazione e, di conseguenza, la Singolarità Tecnologica teorizzata da Vernor Vinge si fa sempre più imminente. Il Giorno Dopo sposterà il passato prossimo in una dimensione preistorica: il futuro stesso si prospetta mitologico. Credo che sia ormai giunto il grande momento della fantascienza, l’occasione per dispiegare l’intera gamma delle sue potenzialità. Sarà un’impresa tutt’altro che semplice, tanto per quel che riguarda lo sforzo concettuale dell’autore quanto per quel che concerne la pazienza e lo sforzo comprensivo del lettore. Siamo tutti sulla stessa barca: tutti uguali davanti al domani. E qualcuno dovrebbe decretare lo stato d’allarme.
Viviamo in tempi difficili. È bene farsi trovare pronti la prossima volta che il futuro ci prenderà alla gola.
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