Innanzitutto, benché fosse opinione di mio padre che la tecnologia e l'automazione avrebbero consentito nel futuro remoto in cui sarei stato ambientato, il governo di una nave spaziale a un equipaggio fatto di pochissimi uomini, la scelta per la U.S.S. Enterprise fu di un veicolo abbastanza ampio da avere a bordo molte persone. Questo per conseguire due vantaggi. Primo: la varietà di personaggi di cui si sarebbe potuta avvalere la serie, e secondo: la varietà di ambienti che una nave avrebbe permesso di mostrare al pubblico, come laboratori, sale controllo, stanze di ricreazione, eccetera eccetera. La possibilità di fare atterrare l'Enterprise sui vari pianeti fu definitivamente eliminata e anche questo per avere due conseguenze a favore. Innanzitutto realizzare l'atterraggio credibile di una astronave sarebbe stato assai dispendioso. Non avete idea di quanto mio padre insistesse sul concetto di "credibilità"... Inoltre sarebbe stata una procedura che, narrativamente, avrebbe comportato troppo tempo. Con l'espediente di far restare l'astronave sempre in orbita e far giungere a terra l'equipaggio con il teletrasporto, invece, non solo si aveva un abbassamento dei costi, ma, come diceva lui, "ci permetteva di essere ben dentro la storia dalla pagina due della sceneggiatura". A questo punto potrete immaginare che anche il concetto alla base dei cosiddetti "pianeti di Classe M", quelli simili alla Terra, fu dettato da un compromesso coi costi di produzione. Pianeti simili alla Terra, infatti, avranno sì degli alieni, ma non saranno mai così diversi da noi. E volete mettere questo in termini di trucco, maschere e costumi? Anche la scelta di non vedere mai l'Enterprise fare ritorno sulla Terra fu dettata da una duplice esigenza: di non dover descrivere una Terra futura, cosa che sarebbe stata assai costosa, e di evitare anche di dover decidere come sarebbe evoluta la società attuale nel remoto futuro, cosa che avrebbe potuto provocare dissapori o problemi con i network e gli sponsor. La presenza di una Federazione Unita dei Pianeti sarebbe stata ragionevole e sufficiente per giustificare la missione dell'astronave. Fu così, dopo queste e innumerevoli altre considerazioni, che nel giugno del 1964, mio padre sottopose ai vertici della NBC tre soggetti per altrettanti potenziali episodi pilota. La scelta della NBC cadde su quello intitolato The Cage. E, per la galassia, per me fu un autentico dramma! [sospira].
Una nave sottosopra
Passare da un soggetto di un paio di pagine, ovvero quello approvato dalla NBC, a una sceneggiatura di un episodio TV che può eccedere le cinquanta cartelle, non è semplice. Non è semplice in termini narrativi, ma non è semplice soprattutto nel momento in cui le cose che scrivete poi sapete che le dovrete fare vedere. E le cose possono essere ancora peggio se state facendo fantascienza, e vi accingete a creare un nuovo universo, che nel contempo deve essere futuristico, credibile, comprensibile, facile da realizzare ed economico. Dovete decidere la forma dell'astronave, lo stile degli ambienti, come sono le armi, i costumi, i mobili, le acconciature degli uomini e delle donne, gli aggeggi che i protagonisti usano per comunicare. Dovete chiedervi come sono anche le forchette e i coltelli, come accidenti scrivono i vostri protagonisti, e come vanno in bagno, sì pure quello. Dura la vita di noi show televisivi, eh? Comunque, mio padre si mise al lavoro e, insieme al suo principale consulente, Harvey P. Lynn, un fisico della Rand Corporation, e a due collaboratori, Pato Guzman e Matt Jeffries, trovò una soluzione a ogni aspetto rilevante di come sarei dovuto sembrare. Ma non fu un'operazione facile. Prendiamo zio Matt, per esempio. Era un pilota e un membro dell'Aviation Writers Society, esperto di storia dell'aviazione e lavorava già su un'altra serie, quando fu chiamato a lavorare per mio padre, per occuparsi soprattutto degli aspetti tecnologici della serie. Ricordo che al loro primo incontro, dopo avergli esposto brevemente quello che aveva in mente, ovvero che dovevano realizzare una serie ambientata qualche centinaio di anni nel futuro, con una nave spaziale che si muovevano nello spazio profondo, e che non si sarebbe dovuto vedere fumo, getti di fuoco o di gas, perché non avrebbero dovuto andare su Marte, ma in posti della galassia che non hanno ancora un nome, insomma qualcosa di tecnologicamente molto avanti nel futuro, alla fine mio padre uscendo concluse: "Non mi importa come lo fai, basta sembri una cosa potente". Ora, devo supporre che voi non abbiate mai visto Matt Jeffries all'età di 43 anni, e forse non avete proprio idea di che faccia abbia. Ebbene, immaginatevi un ragazzone americano dalla faccia rubiconda e simpatica, sotto una bella zazzera di capelli e dietro a un grande paio di occhiali rettangolari, che fissa mio padre in silenzio, e a mano a mano che parla, lui sgrana gli occhi, finché rimane da solo nell'ufficio. A bocca aperta. Incredulo delle parole che aveva appena sentito e di quello che gli era stato richiesto. Andò più o meno così. Eppure, allora mio padre ancora non lo sapeva, ma in quell'ufficio le strane alchimie del destino gli avevano fatto incontrare la persona che per molti versi mi avrebbe portato dentro la storia. È anche grazie a Matt, infatti, se sono qui oggi. E probabilmente se c'è stato un vero Miracle Worker nella serie, quello fu proprio lui [si commuove]. Fu lui, insieme a Pato, che, dopo decine e decine di bozze, disegni, provini e tentativi assortiti, giunse alla forma finale della U.S.S. Enterprise, quella che conoscete tutti. Fu un processo per selezione successiva. Messo di fronte ai disegni di Matt e Pato, a volte poco più che schizzi, mio padre commentava gli aspetti che gli piacevano e quelli che invece riteneva dovessero essere scartati. Lui insisteva sulla credibilità, ma nel contempo su qualcosa di tecnologicamente molto distante da quello che si vedeva allora, qualcosa che nessuno avesse mai visto prima. L'idea finale scaturì al terzo tentativo. Matt e Pato avevano preparato una decina di disegni, ma era su uno che Matt in particolare puntava. Allora, prima di mostrarlo a mio padre e agli altri responsabili dello Studio, andò a recuperare alcuni pezzi di legno e, con l'ausilio di alcuni aiutanti, nel giro di quaranta minuti costruì un rozzo modello dell'Enterprise. Ma prima di fare entrare mio padre e gli altri nella stanza, Matt si preoccupò di appenderlo a un filo per mostrare il suo effetto in volo. La cosa curiosa è che, rispetto a come siete abituati a vedere l'Enterprise, Matt appese il modello alla rovescia!
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